L'Attesa
Marco
Sportelli
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Aspetto e
desidero talmente la primavera che quando finalmente arriva quasi mi
dispiace: non so più cosa desiderare. Anche se poi, da buon malato di
pesca a mosca, se in una giornata di fine maggio con cielo terso e sole
splendente qualcuno mi fa notare
“Bel tempo oggi, eh?”,
riesco a rispondere “Mmmm…
sarebbe meglio con una perturbazione in arrivo…”. E quest’anno la primavera s’è fatta attendere… Qualche coraggiosa avanguardia d’insetti ha sfidato acqua e freddo fuori stagione ma il grosso delle truppe è ancora in cerca del giusto momento, freme d’impazienza: aspetta il sole. Anche le mie mosche, che hanno svernato buone buone nelle loro scatole, ora mi sembrano più irrequiete, anche loro fremono d’impazienza: aspettano acqua, limpida e corrente. Attesa - Nessuno sa più cos’è, e meno che mai i giovani. Basta premere un tasto, accendere un PC, un sms, prendere un aereo e tutto è immediatamente a portata di mano. Per una ricerca scarichi da internet e per una maglietta basta chiedere e domani sarà già nel cassetto perché anche noi genitori, che vogliamo vederli subito felici, ci siamo dimenticati d’insegnar loro l’attesa. L’attesa è un amplificatore di sensazioni, un catalizzatore d’emozioni, un intensificatore di sapori di cui ormai abbiamo smarrito la ricetta. Attendere il periodo giusto dell’anno, attendere la
schiusa, attendere la sera, cardini culturali della pesca a mosca, sono
stati irrimediabilmente rimossi. La pesca a mosca, nella visione
romantica del termine non è per tutti, richiede propensioni d’animo in
disaccordo con fretta, con sempre e subito, con certezza di risultato.
Molti pescano ma pochi ormai possono definirsi pescatori a mosca: temono
la solitudine, non sanno gestire la noia. E solo a primavera riesco a far bilancio dell’anno precedente. Durante i grigi mesi invernali ricordi e emozioni si sono addensati e condensati. Certi sono lentamente sedimentati, altri, come panna nel latte, sono rimasti a galla e pervadono i miei sogni caricandomi d’aspettative. Quel posto che riaffiora più spesso alla mia mente, di cui fantastico durante il lungo inverno diventa un po’ il “mio posto”. C'è quel qualcosa su di lui che conosco come nessun altro conosce. E’ qualcosa d’intimo. L’itinerario per l’anno in corso di solito parte da qui, è presto fatto: si miscela la panna, quel qualcosa che ormai è diventato tanto personale da appartenerci, ad un po’ di latte fresco e si parte.
Quando mi affaccio ad una buca so di avere una sola possibilità, quella di aspettare che le impressioni sensoriali, che i dettagli quasi impercettibili raccontino la loro versione. Intuizione: (dal dizionario) “Somma di deduzioni semplici e logiche basate su normali percezioni ma che la parte evoluta del nostro cervello non è in grado di collegare”. E deve succedere subito, prima che la parte analitica prenda il sopravvento. Nella luce radente del tardo pomeriggio un germano taglia la piana in diagonale tirandosi dietro lentamente, come un velo da sposa, la sua scia sull’acqua, ma lo sguardo si focalizza la, dove una piccola deformazione appare tra due vene d’acqua. Bolla… che meraviglia!
Cos’è un “pesce trofeo”? Difficile definirlo. Una
fario di E poi esistono pesci grandi in assoluto. Enormi animali che di solito si trovano su copertine di riviste americane od imbalsamati in qualche trattoria locale. Più raramente pinneggiano nel fiume e raramente, molto raramente, incrociano la nostra mosca. Beh, non rodetevi il fegato, le foto sono fatte da professionisti: un grandangolo e la giusta inquadratura fan miracoli, e quelli delle trattorie… beh, quelli sono stati sicuramente presi con il verme, o con la rete, o trovati spiaggiati, morti di vecchiaia! Comunque esistono, e se ne parla quel tanto che basta da mantener viva la nostra “possibilità”. Le catture però sono quasi sempre prerogativa dei locali. Li individuano nel periodo di frega, conoscono il posto, l’ora in cui tentarli e cosa proporgli. L’incontro con questi esemplari per il pescatore di passaggio è quasi sempre fortuito a meno che non frequenti zone No Kill o riserve di pesca.
Entro in acqua silenziosamente. A filo di sponda arriva già alla vita. Azzardo qualche passo ed il pesce è a tiro. Continua a bollare. Posizionato a pelo d’acqua rompe la superficie con ritmo regolare e nessun dispendio d’energia. Bollate insignificanti. Solo la distanza dal cerchietto alla punta della coda tradisce la sua taglia. Lancio facile su pesce facile: sono pesci selvatici che praticamente non hanno mai visto una mosca artificiale.
Al primo passaggio corretto si gira pigramente di lato ed azzanna la mia piccola sedge. Non attendo e ferro, immediatamente, impazientemente troppo presto. L’ho appena punta tant’è che dopo pochi minuti ricomincia a bollare ma ignora sistematicamente i miei artificiali. Davanti a me un altro pesce mi provoca con continue salite. Non ho pazienza e non so resistere ad una facile preda così lo catturo. Ora però questa trota che persiste a cercare la corrente mi fa perdere tempo e disturba la piana. C’è qualcosa di meglio cui mirare. Guardo a monte. Il grosso pesce è sparito, così,
silenziosamente, senza il battito d’ali del fagiano, senza fruscio
d’erba del capriolo. Sparito in quel modo soprannaturale che hanno: non
li vedi fuggire o schizzare nella tana. Semplicemente svaniscono. Ho
scambiato un pesce di qualche chilo con uno di qualche etto. C’è sempre
da imparare e questa lezione di pesca la vorrei archiviare sotto la “O”
di Ode vivente all’impazienza
dei predatori ma poi cambio idea e la metto sotto la “A” di
Asino. Sono-un-ASINO! Per ottenere risultati occorre insistere,
perseverare, programmare un approccio particolare al fiume tralasciando
o mettendo in secondo piano aspetti tipici della nostra disciplina.
L’ostinazione nella ricerca del pesce di taglia è comunque una
peculiarità personale, credo legato al imprinting iniziale. Ad esempio
ho notato molta più propensione verso il pesce trofeo e al necessario
utilizzo di streamer e grosse ninfe piombate in quelle persone che
provengono dallo spinning. Difficile capire se questa pratica orienti il
pescatore verso pesci di taglia o se sia stato il desiderio di pesce di
taglia ad orientare il pescatore prima verso lo spinning, perché tecnica
idonea allo scopo e poi, una volta evoluti alla mosca, a conservare
quest’attitudine. Non è certo il mio caso: pescavo pescetti a passata e
l’infantile piacere di veder sparire il galleggiante è stato sostituito
dall’ancor più infantile piacere di vedere sparire la mosca in bocca al
pesce. Un piacere visivo, comunque. Il gusto della cattura termina nel
momento che ferro il pesce e lo sento in canna. La lotta ed il
successivo recupero mi annoiano ed è anche il principale motivo per cui
odio le iridee e la loro interminabile difesa. Perdo giornate su
trotelle che bollano e se incappo in qualcosa d’interessante è sempre un
caso. Mi sposto in cerca d’altri pesci, recupero il mio compagno di pesca (non mi fido a rientrare in acqua in quel punto con poca luce) e quando torno all’incrocio delle due correnti l’acqua è quasi nera contro il cielo grigio. Ci sono cose che il destino si propone ostinatamente. Dove ho tentato la bella trota nel tardo pomeriggio, ora, delicate, regolari bollate me la fanno immaginare a pelo d’acqua concentrata su qualcosa d’invisibile.
Ho un vecchio ricordo. Capito a casa di un accanito garista a passata e lo trovo intento ad esaminare con la lente d’ingrandimento, uno ad uno, gli ami e le legature appena fatte. “Beh, non ti sembra esagerato?” “No, se sono quelli che utilizzerò per la finale del campionato nazionale!”. La soluzione che ho adottato parte proprio da questo flash back. Partiamo con ordine analizzando e soppesando i punti
marginali. Per pigrizia ed indolenza non ho cure. La canna - Rispetto allo spinning paghiamo ancora dazio per raggio d’azione e profondità sondabili, ma là dove il fiume è ancora torrente, o l’acqua è poco profonda, o tra gli erbai di una risorgiva il gap tecnico veramente si assottiglia. L’unica differenza è legata alla canna. Forzare un grosso pesce lontano dagli erbai o dalla tana non è solo questione di diametro di filo. Le nostre canne, avendo come caratteristica principale la necessità di far volteggiare una coda, e come caratteristica immediatamente successiva la leggerezza non sono esattamente idonee allo scopo. Avete mai provato ad applicare un solo kg di trazione ad una canna da mosca? A 90° non ci riuscite, a 45° nemmeno, con il pesce sotto di voi la canna si piega in maniera impressionante ed il cimino è quasi all’altezza dell’impugnatura (vedi scheda). Per esercitare un kg di trazione la canna si dispone quasi parallela all’acqua, perde completamente la sua flessibilità ed ancor peggio i due, tre metri che, abbassando la canna, siamo costretti a cedere al pesce per forzarlo al limite di rottura sono spesso, in ambienti ristretti, sufficienti a farlo intanare. Come già accennato il nostro attrezzo si flette in maniera inconsulta ma qui non c’è margine d’azione se non scegliere la canna più potente compatibilmente all’ambiente, o dedicarsi allo spinning…
Filo - Il carico di rottura del nylon moderno è enorme, già uno 0,14 è impossibile da rompere con la canna ma siamo costretti a strapparlo tirando direttamente dalla coda di topo. Questo in teoria, in pratica spesso si rompe con nulla, ma ci arriviamo. In qualsiasi occasione utilizzare sempre e comunque, compatibilmente con la taglia della mosca, il maggior diametro di nylon possibile. Meglio esagerare per poi ridurre solo se necessario. Nodi - Punto critico, assieme all’usura del nylon, di tutto il sistema. L’elevato carico di rottura iniziale si riduce drasticamente al nodo, sia tra filo e filo sia sulla mosca. Più il filo è costretto dal nodo a fare una curva secca più si indebolisce. Questo è il motivo per cui, in ami medio-piccoli, quelli generalmente utilizzati per la mosca secca, il nodo che stringe sulla testa, qualunque esso sia, è più performante. Non tutti i nodi vengono perfetti, anzi la variabilità è enorme ed imponderabile: nodi che sembrano “perfetti”, fatti con filo appena uscito dal negozio e nella serenità casalinga, testandoli in maniera oggettiva cedono a trazioni inaccettabili. Immaginate quelli fatti con poca luce, con una grossa trota che bolla davanti e con nylon già usurato da qualche ora di pesca! Per rendersi conto del motivo per cui perdiamo mosche in bocca al pesce è sufficiente al cambio mosca prendere in una mano il filo, nell’altra l’artificiale e dare un colpo secco. Due volte su tre si stacca quando invece, per strappare un semplice 0.14 con le mani, se non volete tagliarvi dovreste utilizzare i guanti. Finale
-
Sono pigro l’ho già detto e quindi la pigrizia mi ha fatto aguzzare
l’ingegno. Come già esposto tempo fa (Chernobyl Ant - Fly line Speciale
dressing 2006) il mio finale finisce con un’asola sullo 0,25 e rimane
montato alla coda con una goccia di attack per mesi. Quello che cambio
di frequente è la parte finale. A casa costruisco il resto della
scalatura (0,20 – 0,18 – 0,16) che termina nuovamente con una piccola
asola sullo 0,14 su cui loop to loop alterno i vari terminali per le
piccole mosche secche. Se devo passare ad un grosso terrestrial avvolgo
velocemente mosca, terminale e scalatura alla scatola delle emergenti,
sgancio il clinch dall’asola sullo 0,25 ed in un attimo sono pronto a
collegare filo dello 0.20 e relativa esca. Questo sistema è ottimo per
la pesca ordinaria ma per pesci XL occorre un altro approccio. Partiamo da qui, dallo 0,25. Di questo mi fido anche dopo una giornata di pesca. Di tutto il resto no. Nodi involontari ed abrasioni sono in grado di far cedere il finale in qualsiasi punto. Vi è mai è capitato? A me si! A volte il grosso pesce appare dal nulla, inaspettato, ma più spesso, soprattutto se peschiamo a galla o a vista, abbiamo coscienza del nostro avversario o perlomeno il posto ed il momento ce lo fanno sperare. Ed è proprio questo il momento di giocare al meglio le nostre carte. C’è solo un posto dove possiamo fare un lavoro perfetto: il nostro tavolo da lavoro, quindi la scalatura, comprensiva di terminale e mosca già legata, deve essere già pronta, e testata. Ho modificato un porta lenze in foam. Ha 5 gole, ideale per due terminali preparati con filo dello 0,14 e mosca del 16, due con filo dello 0,16 e mosca del 14 ed uno con filo dello 0,18 e mosca del 12. Le mosche le scelgo fra le più probabili ed eclettiche per quel momento e ad ogni modo se le dovessi cambiare sarebbe l’unico nodo su cui concentrarmi una volta in pesca. L’amo è robusto e con ardiglione, il nodo di chiusura della mosca è senza colla così da far penetrare morbidamente il nylon tra la seta. Il nodo è un CS knot per mosche fino al 16 per passare all’Harvey knot per ami 14 e 12. Il collegamento tra terminale ed il primo spezzone della scalatura non è loop to loop ma un triplo surgeon knot: la tenuta è molto simile ad un blood knot ma la percentuale di nodi buoni è molto più elevata, perché sì, non vi ho ancora detto che annodata mosca, terminale e primo spezzone della scalatura collego tutto ad un dinamometro e metto in trazione fino al 50% del carico di rottura. Anche così, mediamente, un terminale su tre si rompe. Proseguo con gli spezzoni successivi fino ad arrivare allo 0,20. Questi nodi sono semplici blood knot, come detto la tenuta è paragonabile ma sono decisamente più belli. Mai tralasciare il lato estetico dello sport. Arrotolate il tutto sul porta lenze, partendo ovviamente dalla mosca e portatelo con voi. Quando vi capiterà, se mai capiterà, d’incontrare il pesce della vita, togliete tutto e annodate uno di questi. Scoprirete immediatamente quanta energia serva a spezzare un nylon montato a regola d’arte perché, se anche a voi succede lo stesso, state pur certi che il vostro Compito in Classe di Pignoleria al primo lancio s’impiglierà sul ramo che, troppo presi dalla sostituzione, non avevate notato. Per l’indolenza, come ho detto, non ho cure ma per il
minuto necessario ad eseguire un semplicissimo clinch
Qui sotto potete trovare i link ai test eseguiti: Nodi - Il CS Knot, l’Harvey, il clinch migliorato ed il triplo surgeon sono tutto ciò che serve. Il CS è ottimo per piccole mosche, facilissimo da eseguire anche a buio e semplice da rimuovere dall’occhiello: è il mio preferito. L’Harvey è più performante del precedente in quanto stringe la testa della mosca non con una spira ma con due. E’ più adatto ad ami medio grandi e la rimozione dall’occhiello richiede pazienza. Il triplo surgeon ed il clinch migliorato sono noti a tutti ma per la sequenza esecutiva e tutto ciò che so in proposito potete visitare la pagina Nodi &Finali |