Il Particolare
Marco
Sportelli
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Non ricordo questo scorcio di fiume, ma qualcosa, un sottile, incerto déjà-vu mi riporta a un altro tempo e poi, improvvisamente come capita con certi nomi subito dopo l’imboccata, mi sembra impossibile d’averlo dimenticato. Mi ci portò ai miei inizi un professore d’Italiano più incline a divulgare nozioni di pesca che di grammatica. Ora sembra più piccolo ma ho scoperto che i file archiviati in quegli anni sono tutti affetti da entusiasmo da principiante. In effetti, lo ero, e mi stupivo come lui riuscisse ogni tanto a convincere un pesce mentre per me erano solo rifiuti. Ma quella schiusa, la prima intensa schiusa di pescatore a mosca cui mi capitò d’assistere, quelle effimere fitte e costanti che scendevano immobili verso il loro ineluttabile destino sono rimaste impresse nella mia mente.
“Scartare anche i naturali” è una frase importante, ci torneremo. Fiumi, ore, chilometri, tutti giustificati solo dalla
speranza di veder pesci bollare. Continuo tuttora a chiedere agli amici
tornati da pesca prima delle schiuse e poi dei pesci. Esistono altri insetti
che producono situazioni simili, tricotteri, plecotteri, a volte ditteri, ma
Quando capita di trovare pesci che cominciano serenamente a bollare spesso mi prendo qualche momento per osservarli. Assaporo il momento, un momento eccitante e pieno di promesse. Il momento prima di agire è il più bello: che riesca solo a spaventarli, pungerli o realmente catturarli, di solito il risultato è sempre un po’ più deludente delle attese. La mia compassione per gli animali ha una dimensione minima: odio le zanzare mentre m’inteneriscono i gattini. Ecco, casualmente corrisponde proprio alla taglia di una mosca di maggio. Assisto indifferente a stragi di chironomi o piccole olive mentre in questo momento una, semplicemente una di queste grosse effimere sta catalizzando la mia attenzione. La osservo scendere serena e fiduciosa la corrente e agitare le ali tentando di staccarsi dall’elemento che l’ha ospitata per tutta la vita precedente. Una vita triste, passata in forma di verme, al buio, sotto a un sasso… e ora, improvvisamente, la luce, la bellezza, e il miraggio di volare. Addirittura volare. Percepisco quest’anelito vitale, c’è un attimo di connessione empatica tra noi, e poi… questo supremo anelito svanire dentro un cerchio nell’acqua. Ma è un attimo. L’emozione per questo insetto persiste solo un attimo: quella è decisamente una bella trota! E la bollata di una bella trota azzera tutte le elucubrazioni mentali, con priorità assoluta!
Che cosa succede? Perché il fulcro del nostro sistema, la mosca artificiale, è così inaffidabile? Perché anni d’esperienza e la migliore attrezzatura a nulla valgono davanti a un pesce selettivo? O al contrario: cosa induce un pesce a ghermire la nostra imitazione? Non c’è risposta univoca ma solo teorie frutto d’osservazioni empiriche. Sono un pessimo osservatore, però qualche considerazione mi va di farla. Per semplificare l’esposizione differenzierò la pesca in caccia da quella in schiusa. Sulle mosche - Le chiamiamo mosche, imitazioni d'insetti. Per noi che siamo abituati a costruirle e vederle sembrano tali, ma viste con l'occhio del profano, ed è un esperimento che ho fatto, vi garantisco che "Sì, son' carine e simpatiche ma non mi sembra che somiglino agli insetti di quelle foto!". Questa risposta, datami a suo tempo da un amico, mi aprì gli occhi su una realtà, che per quanto possa sembrare scontata, per me non lo era: le cose non sono quelle che sono ma quelle che vediamo. Io ci vedo una mosca, il profano una curiosità e il pesce… ma cosa ci troverà di tanto interessante il pesce? Anni di religiosa fede volatilizzati. Senza punti di riferimento, ho messo da parte decine d'imitazioni “esatte” e per un lungo periodo ho pescato praticamente con un solo modello da caccia, anche su pesce in attività. Mi sono reso conto con stupore che, escludendo i sempre più rari casi di pesce attivo su di una schiusa intensa, non solo facevo strage in torrente e acque mosse ma riuscivo a far salire temoli in acque piatte e smaliziate trote nei più battuti No Kill. Non che fosse infallibile, ma bastava cambiare taglia o rinunciare a qualche pesce proseguendo l'azione di pesca su altre prede per catturare, a fine giornata, più di quanto avrei fatto sostituendo artificiali su artificiali alla ricerca di quello valido.
Cosa ci veda esattamente la trota nessuno lo sa. Di certo è un essere primitivo, comandato da un cervello istintivo, difficile per noi da comprendere se non paragonandolo alla parte ancestrale del nostro. Mi riferisco agli “istinti riflessi”: quelle reazioni automatiche, codificate nel DNA, che per migliaia di anni ci hanno fatto arrivare primi al cibo o reagire prontamente davanti al pericolo, garantendoci quindi la sopravvivenza e la trasmissione di questi geni. Reazioni che in un lungo periodo critico della preistoria umana hanno davvero rappresentato la differenza fra vita o morte. Per capirci: un fruscio improvviso sul sentiero, prima ancora che il cervello cosciente lo registri, ci fa bloccare, alzare le braccia a protezione del corpo e girare prontamente verso la fonte del suono. Non lo sappiamo ma nello stesso tempo abbiamo convogliato il sangue agli arti, pronti per la lotta o la fuga, e i sistemi mnemonici sono stati riorganizzati con precedenza assoluta per fronteggiare l'emergenza. Lo stesso accade continuamente alla trota, reagisce a semplici stimoli, l’ombra di un uccello o la vaga parvenza di un insetto, con azioni elementari: la fuga in tana o la salita per ghermirlo. E’ tutta istinto. Semplice, come dovrebbe essere nell’ordine naturale delle cose. Senza ami in giro e una spinta evolutiva più improntata all'individuazione del cibo che alla sua discriminazione era meglio inghiottire qualcosa d’indigesto piuttosto che rinunciare a possibili prede. I veri pericoli avevano un'altra forma. Ma non è esattamente così…
Le nostre imitazioni, in effetti, sono molto approssimative. Già cercare di paragonarle agli insetti reali nel tentativo di scegliere quella giusta richiede un’intensa astrazione mentale: occorre ignorare palesemente amo, nylon cui sono legate e apparenza oggettiva. Quasi come guardare un’incisione rupestre e riconoscerci un bufalo: la prima è un graffio sulla roccia, il secondo un animale tridimensionale. Eppure giureremmo che è così. Possiamo ipotizzare lo stesso del pesce, un semplice particolare gli stimola il ricordo di cibo; da un solo singolo “particolare” astrae il tutto, l’insetto. Quale? Di sicuro non è univoco e in ambienti oligotrofici lo spettro si deve forzatamente ampliare. In acque veloci ancora di più.
Serve volume e assetto in acqua. In acque mosse, con pesce intanato o ai margini della corrente prima del particolare viene la capacità della nostra insidia di farsi notare. Una grossa parachute, una klinkhammer o una mosca in foam che galleggia per spinta idrostatica sono visibili alla trota da metri di distanza; il loro assetto parzialmente immerso, difatti, li rende individuabili ben al di fuori della sua finestra visiva. Anche la dimensione e la conseguente posa accentuata influiscono sulla visibilità, ma non solo, diventano essi stessi “particolare”. Mi spiego, nell’intervallo tra le schiuse i pesci scrutano attentamente il loro territorio in cerca di un ghiotto boccone. Quante volte è capitato di percepire un tonfo o vedere una singola violenta bollata? Sono certo che nella stragrande maggioranza dei casi l'abbia generata un grosso terrestrial. Bruchi, ragni, coleotteri, cavallette non fuoriescono dall’acqua ma, come la nostra mosca, vi cadono scompostamente generando appunto questo “particolare comportamentale” facilmente riproducibile.
In una mosca da caccia è molto generico e legato alla stagionalità più che a insetti specifici. Se analizziamo le bestioline in cui può incappare una trota di torrente la maggioranza ha corpo tozzo e voluminoso, zampe in disperato movimento, poca attitudine al galleggiamento, e a volte contrasti di colore. Il nero prevale, il verde è sempre in toni metallici, il rosso entra come particolare, mentre il giallo è solo per api o vespe, rare nel bosco. Il pavone e il contrasto di colore di una royal coachman, la sagoma e le zampe di una Chernobyl servono a questo. Le sedge funzionano?! Sì, perché i tricotteri schiudono da inizio primavera a fine autunno e sono costantemente presenti in forma adulta lungo il torrente. Sì, perché sono da sempre le mosche più grosse e galleggianti che abbiamo nelle nostre scatole, ma non sono necessariamente ciò che si sta aspettando il pesce.
Come il torrente esce dal fitto degli alberi e la fonte di cibo vira gradatamente verso gli insetti acquatici tutto si complica e si accentua. I terrestrial perdono d’importanza. Qui la fonte di cibo, più che caderci, dall’acqua ci proviene e la credibilità della nostra mosca da caccia è maggiormente legata alle schiuse del momento. Il particolare è sempre generico ma taglia e silhouette devono avvicinarsi a quella dell’effimera/tricottero medio che il pesce si aspetta in quel periodo. La mosca da caccia ideale, quindi, deve generare nel pesce la vaga reminiscenza di un’effimera o, ancora meglio, di un tricottero. Perché molti di noi, pescando in assenza di bollate o con bollate sporadiche, si orientano verso quest’ultimo? Per facilità e comodità. Il vantaggio innegabile di una sedge è che non richiede necessariamente passaggi perfetti: dragaggi inevitabili o intenzionali non compromettono necessariamente la sua efficacia, anzi! E pescando in caccia non è poco… In schiusa – Comunque il vero problema, e tutti ben lo sappiamo, è convincerli quando si concentrano su di una schiusa. Qualcosa, in effetti, cambia, i pesci si focalizzano su qualche “particolare”, a noi di difficile individuazione, che li aiuta a riconoscere lo specifico insetto. Per capire realmente i nostri avversari riproviamo a ragionare in maniera darwiniana. Le imperfezioni del DNA sono il motore che ha generato l’evoluzione, ogni piccola variazione se positiva porta un vantaggio a chi la possiede e gli permette di trasmetterla alla prole, se negativa genera semplicemente rami morti e sparisce. Partendo da quest’assunto dobbiamo supporre che i pesci che nuotano nelle nostre acque siano esattamente i più idonei a prosperare e quindi, qualsiasi comportamento e reazione, sia frutto di un affinamento millenario. Sopravvivenza e riproduzione, nell’ordine, sono le due pulsioni prioritarie di tutti gli esseri viventi. Sopravvive e si riproduce chi è in grado di predare senza essere predato. I pericoli possono arrivare dal cielo, da terra o dall’acqua, questo è il motivo per cui il pesce si spaventa tanto facilmente e perché in acqua sceglie posizioni riparate o rimane in tana. Un essere troppo timoroso però morirebbe d’inedia ed eccolo quindi pronto/costretto a sfidare di continuo i predatori per alimentarsi. I pesci escono allo scoperto solo durante la schiusa perché stare a pelo d’acqua, sul filo di corrente, è molto produttivo ma rischioso: va fatto solo quando il drift di cibo è intenso. Eppure, sono lì, esposti al
pericolo, cibo abbondante… per quale ragione selezionano con attenzione ciò
che passa e non prendono convulsamente tutto ciò che è possibile? Capire perché l’evoluzione abbia dovuto perfezionare la “selettività”, un meccanismo che si enfatizza in queste situazioni e soprattutto come agisca, è sempre stato un mio cruccio irrisolto. Ho giusto un paio d’idee. La prima riguarda il perché e, anche se può sembrare una contraddizione, è la seguente: se con bocconi isolati o con un drift rado la trota, a parte il dispendio d’energia, si può permettere di salire a vuoto, in zone produttive con schiusa intensa e mosche fitte, ogni salita inutile, magari su di un’esuvia o un piumino di pioppo, corrisponde a un insetto vero che non può ghermire perché è già passato a valle. Mentre a inizio/fine schiusa qualche errore è accettabile in piena schiusa gli è richiesta la massima precisione (selettività), non può sbagliare. La differenza di prede predate a fine giornata potrebbe essere modesta, ma la selezione naturale è spietata: solo gli individui più efficaci prosperano. La seconda riguarda il come affina la percezione della preda. I pesci possiedono una memoria? Sì, è innegabile. Situazione classica: temolo in acqua profonda, alla prima passata del nostro artificiale sale in verticale ma rifiuta all’ultimo momento; alla seconda si agita appena; alla terza ci sdegna. Cambiamo mosca e la sequenza si ripete. Che cosa succede, ha un’ottima memoria a breve termine? Quanto dura? Poco, pochissimo, se consideriamo che riprovando dopo un’ora magari risale sulla stessa già proposta, o che pesci selvatici, punti con una mosca, continuano a bollare sui naturali ma ignorano qualsiasi altro artificiale, mentre il giorno dopo si riesce a ricatturarli con la stessa imitazione. Il ricordo del cibo probabilmente imprime nella memoria del pesce un labile ologramma formato non dal singolo insetto ma dalla somma delle silhouette, delle taglie e del comportamento medio degli insetti che nel breve è stato abituato a predare. Ora possiamo anche definire che più la schiusa è rada, varia e sporadica più l’immagine mnemonica che persegue è vaga e indefinita, più la schiusa è intensa, costante nel tempo e monotematica più il particolare che il pesce ricerca diventa chiaro e univoco, mentre per noi diventa sempre più difficilmente imitabile o eludibile.
Perché al resoconto serale, dopo una giornata di pesca sulla medesima schiusa, risulta che ciascuno ha catturato con artificiali differenti? Perché la mosca che ha funzionato su di un pesce a volte è ignorata da quello successivo? Questi sono i quesiti più ricorrenti del dopo pesca, le molle che stimolano e alimentano le menti dei fly tiers. L’esistenza di migliaia di modelli di artificiali e, soprattutto, l’efficacia conclamata di mosche regionali sviluppate per tentativi ed errori da validi pescatori locali credo possa essere giustificato solo dalla variabilità del “particolare” al variare del mix d’insetti tipici di quella zona e di quelle specifiche condizioni ambientali. Allo stesso modo sono certo che artificiali, differenti come concezione e materiali, ma anche come forma e dimensioni, generino agli occhi del pesce reminiscenze del medesimo “particolare”. Quindi, se non sono solo i dettagli oggettivi della nostra mosca a renderla miracolosa occorre cercare anche qualcos’altro. Provo a concretizzare. Da qualche esperienza maturata negli anni e che vi riporto di seguito, sono tentato di dedurre che la magia avvenga quando aggiungiamo un elemento la cui interazione, in fin dei conti, non ci è molto familiare: l’acqua.
Perché a volte, anche in piena schiusa, la nostra imitazione ha solo un’efficacia sporadica? Qui occorre aggiungere un’altra variabile, la fallibilità. Riusciamo sempre a generare nel pesce l’esatta immagine mentale che si aspetta? No, molte volte no, ma non dimentichiamoci che abbiamo a che fare con esseri semplici. Spesso non siamo noi a essere bravi ma loro che si sbagliano. Difatti una delle soluzioni più proficue per tentare un pesce selettivo è proprio agire sulla sua fallibilità, proponendogli lo stesso artificiale, passata dopo passata, sempre sulla sua linea di pastura e sempre più vicino alla bollata. Se è a pelo d’acqua è facile che cada in errore e lo ghermisca. La difficoltà è legata alla precisione e alla posa, decisa ma non troppo.
Più la trota è grossa poi, più è costretta a porsi a pelo d’acqua (rapporto tra beneficio e dispendio d’energie) ma più è grossa più serve calma e sangue freddo! E perché rifiutando un’artificiale a volte accenna appena la salita mentre altre rinuncia solo a un attimo dalla presa? E’ un istinto riflesso. Più si avvicina più l’immagine è nitida e se più si avvicina più quello che percepisce si discosta dal suo ologramma mentale, a prescindere dalla distanza cui è giunta, la reazione istintiva è il rifiuto. Non c’è tempo per valutare bilancio energetico o rischi/benefici; ricordiamoci, per sopravvivere serve velocità e immediatezza. Anche alcuni naturali, fortuna loro, subiscono la stessa sorte, il pesce li scarta, ignora o rifiuta solo perché in quel preciso momento non possiedono quel definito particolare che sta ricercando.
Soluzioni/Quesiti - Pescare con la mosca significa mettere in campo la propria intelligenza contro quella della trota. Mia moglie sorridendo mi sfotte dicendo che è quello che ha sempre pensato anche lei. Io so solo che me ne sto per ore in riva al fiume, bardato come un astronauta, cercando di sconfiggere in astuzia una creatura con un cervello grande come una briciola, e divertendomi come un matto della cosa. Non solo, più sono difficili più danno soddisfazione: catturare di continuo è banale, catturare di continuo senza dover curare la scelta della mosca o attenzione nel lancio è terribilmente noioso. A cosa servono le considerazioni fatte finora? Quasi a nulla, perché sarebbe stato bello terminare con il capitolo “soluzioni” ma scrivendo mi sono reso conto di aver formulato più domande che risposte. Per qualcuno dei 33 punti interrogativi sparsi nel testo ho tentato di ipotizzare una risposta ma, gli altri? Beh, gli altri sono l’esatto motivo per cui continuo a consumar stivali lungo i fiumi.
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