Panta rei (tutto scorre)

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

Breve è la vita che viviamo davvero, tutto il resto è tempo. (Seneca)

 

 

 

Il tempo scorre, inesorabile, e nel farlo trasforma noi e il mondo. Un mondo che ai miei occhi è spesso riflesso nell’acqua

Acqua distratta, sbadata, che a ogni alito di vento dimentica le immagini di alberi e cielo.

Acqua che ha ispirato il meglio e il peggio di me.

Acqua che non conserverà nessun ricordo di me.


Assieme a tempo e acqua sono passati anche pesci, posti, persone, soprattutto persone. Ho amici che sento raramente, se non per dettagli sul prossimo viaggio di pesca. Pescando sempre a distanza l’unico momento in cui si conversa e si rinsalda l’amicizia sono proprio le ore passate, correndo sempre di fretta, nello spazio ristretto di un’automobile, alternando momenti col cuore in mano ad altri di assoluto silenzio, solo con gli amici il silenzio non pesa. Bello, durante questi spostamenti, rievocare il passato. Con un sorriso assente e occhi velati scivoliamo nel tempo, ciascuno conserva una parte differente del vissuto, si riaffacciano alla memoria particolari ormai svaniti, il ricordo di un posto, di un viaggio, di un‘esperienza si rinforza e completa nell’altro, si riforma un quadro dimenticato che, come un vecchio affresco dopo il restauro, acquisisce luce, si rinsalda.

Aggiungete un po’ di colore alla narrazione e diverrà favola, un po’ di tempo e diverrà mito.

Sono stato un pescatore solitario, ma nel farlo ho perso molto: il piacere della condivisione è una delle migliori peculiarità dell’essere umano. Si, le esperienze più emozionali le ho fatte da solo, ma i ricordi più piacevoli sempre in compagnia.

Ora solitario lo sono molto meno, forse perché i giorni irrequieti della mezza età, o della ricerca infinita di qualcosa che non potevo trovare neanche in posti dove eravamo solo io e quel qualcosa da dimenticare, sono passati. Giorni che non rinnego, perché nel farlo ho in qualche modo esorcizzato quei demoni, perché nel farlo spesso mi sono divertito: ho gioito della natura, ho sorriso della mia stupidità, sono sceso a patti con me stesso.


Ricordi che non ricordo - Primo giorno in Appennino. Uno strappo iniziale, un lungo tratto a mezzacosta, infine il sentiero sbuca in un posto dove fretta e 4g sono ancora da inventare. Solo nel percepire, per la prima volta dopo tanto tempo, questo brusio d’acqua e odore di muschio, che sembrano appartenere assieme all’oggi e alle mille volte passate, mi sento tornato a casa, perso in un tempo senza tempo.

Risalgo il torrentello anticipando i posti col pensiero: la pozza del cinghiale, il fosso delle salamandre, più su c’è un bel salto d’acqua poi… un attimo di smarrimento… arrivo a una piana inattesa, che avevo dimenticato. Basta un particolare e riaffiorano i dettagli, dove sono le tane, chi le abitava, come superarla... Riemergono ricordi che non ricordo. Ma dove stanno mentre faccio altro? Proseguo, sapendo che ben presto anche loro si dissoceranno nuovamente in vaghi frammenti, ben presto irritrovabili.

Ricordi smarriti, oblii che forse non sono un male, è proprio grazie a loro, antidoto contro noia da reiterazione, se di fantasmi inseguiti, dimenticati, cercati di nuovo, a volta come unico scopo di una mattina di pesca, i torrenti del mio appennino ne sono ancora pieni!

Posti minimali, popolati da esseri delicati. Posti preziosi, da studiare con attenzione, molto più adatti a un naturalista ecologista che a un tipo come me, che se ne va in giro a far danni con una canna da pesca. Questo lo capisco anch’io che sono accecato dalla passione, ma so anche che senza di lei non ci sarei mai arrivato da queste parti, come non sarei stato a Cuba, in Canada, a zonzo per la Ex Jugoslavia, oltre il circolo polare artico…

Da qualche parte ho letto che non tutti quelli che amano la natura riescono a essere naturalisti, i più hanno bisogna di qualcosa di coinvolgente, caccia, pesca, alpinismo, che li spinga là, dove i cicli naturali sono ancora integri o più evidenti. Dove la semplicità degli elementi ti fa sentire vivo.

Già, la passione. È proprio grazie a lei, a questa formidabile lente d’ingrandimento, che le piccole cose dietro cui perdiamo tempo, parliamo, leggiamo, scriviamo, prendono per noi proporzioni enormi, mentre il resto del mondo, la vita reale, diventano piccoli, secondari. Anche i ricordi, i dolori, diventano cose mobili e talvolta si allontanano e sfocano talmente da perderli di vista. Allora, solo allora, riusciamo a rivolgere la nostra attenzione ad altro… a questa roccia semisommersa…

 

 

Se vedo un posto promettente non resisto e anche se so già che ben che vada sarà una trotella l’istinto del predatore ha sempre il sopravvento.

Il mondo del pescatore a mosca è fatto di acqua, pesci, insetti e… sassi. Sono loro che spesso danno forma e spessore all’acqua. Creano tane, giri di corrente, punti di riposo, zone di caccia. Coscientemente li ignoro, al massimo m’infastidiscono quando li devo aggirare o superare, maledico quelli su cui inciampo, quelli scivolosi, instabili, quelli che s’impigliano alla coda, quelli che rompendo la corrente rendono difficile far arrivare la mosca al pesce, proprio quel pesce che lo ha scelto come riparo e vettore di cibo. Eppure, inconsciamente, valuto la zona di pesca in loro funzione, sono proprio loro che rendono interessante un posto. Mi piacciono le rive a picco, le rocce sommerse che increspano il flusso, ma soprattutto mi attraggono le profonde tane che generano, con il loro blu sempre più cupo, e poi nero, che può nascondere di tutto. Per possibilità.

Bella questa buca, la corrente entra nel blu, sfiora il nero, poi si arriccia e si spande tra i ciottoli. Mi avvicino lentamente, saggiando il terreno a ogni passo. Mi abituo talmente a spostarmi in questa maniera poco rumorosa che continuo a farlo anche quando torno a casa…

Nessun indizio. Poso il grosso terrestrial guidato solo dall’esperienza. La mosca, sospesa nell’acqua limpidissima, sfiora la roccia, gira su sé stessa e poi rallenta.

Questi posti minimali sopportano una bassissima pressione di pesca. Quando le mie insidie erano le uniche a galleggiare da queste parti un approccio decente era quasi un censimento, ora, che ho spinto altri amici in queste zone, molto meno.

Il secondo lancio è a ridosso del sasso, una timida ombra esce dal nero ma la mosca scivola troppo presto verso valle.

Ho notato un deciso cambiamento, le trote, anche solo per essere insidiate un paio di volte a stagione, sono diventate diffidenti, schizzinose, non reagisco più con infantile ingenuità, in qualche modo si son fatte adulte.

Ora so dov’è, il terzo lancio è più mirato, il pesce segue l’artificiale verso valle e memore di qualche passata esperienza lo scruta con attenzione. Solo quando è quasi troppo tardi e io fremo di tensione, si convince a prenderlo.

Bello questo momento, bello questo pesce, peccato essere solo, o quasi…

 


Persone Le persone che abbiamo amato abitano in posti determinati, corrispondono a quelli dove con loro siamo stati particolarmente felici. Non posso transitare nella valle del Natisone senza una stretta allo stomaco o comminare tra i bianchi sassi assolati dell’alto Meduna senza che mi assalga l’infinita nostalgia per l‘infanzia dei miei figli. Certi posti assumono spessore proprio perché li collego a persone, il torrente dove mio padre mi portava a pesca di trote, quella prima uscita in risorgiva, le lunghe piane del Piave e la scoperta dei temoli, la gita di pesca con tutto il club, e più recentemente, uscite conviviali, dove posti che già amavo si sono arricchiti del ricordo di nuovi amici. Posti dove alla magia dei loro abitanti ho aggiunto piacevoli serate in compagnia. A tavola si fa della buona pesca, si saldano amicizie, si creano rapporti, e nelle storie che ci raccontiamo a cena, diluiti tra il vino, si trovano spunti del perché peschiamo. Forse anche questa nuova esigenza di compagnia è legata allo scorrere del tempo, forse mi sto rendendo conto di quanto sia labile la mia traccia e tento inconsciamente d’insinuarla nel ricordo altrui.

Di certo sono meno solitario. A pesca mi accompagnano amici, conoscenti, e a volte chi mi segue al fiume assume per me un’immagine ideale. Negli occhi del giovane corsista, che risalendo un torrente riesce finalmente a catturare una trota, vedo lo scintillio e l’eccitazione di un figlio a cui avrei voluto instillare la passione; oppure un padre, il mio è mancato troppo presto, seguire da lontano, con discrezione, un amico non più giovane e a sera scorgerne in uno sguardo soddisfatto e un sorriso beffardo l’orgoglio di non aver mollato, di esserci ancora, mi fa immaginare come poteva essere, mi fa immaginare di esser stato ancora un giorno a pesca con lui.

 

 

Altre volte chi mi segue è solo nella mia mente, persone che mi accompagnano nel pensiero. Tutti abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi, alcuni cercano un pubblico, tanti occhi anonimi, altri hanno bisogni di occhi noti e si circondano di amici. Io mi colloco spesso tra i sognatori, quelli che si accontentano dello sguardo immaginario di persone assenti…

Pescando in compagnia c’è anche tanto da imparare, nuove mosche, diversi modi di approcciare un fiume, vissuti differenti, anche se a volte si impara più da un nuovo adepto, che guarda senza pregiudizi un mondo vecchio con occhi nuovi, che da un coetaneo cresciuto con le mie stesse fisime. Trascinato da certe persone, grazie a loro, a volte finisco in posti che da solo avrei mancato.

 


A pelo d’acqua – Oggi si va in lago. Dopo giorni in cerca del giusto filo di corrente, della mosca che si muove veloce e di rapide salite dei pesci, ora quest’acqua immobile e silenziosa mi disorienta. Mi dicono che ci siano grossi lucci appostati tra i canneti, qualcuno vicino agli alberi caduti, altri tra le erbe acquatiche. Guardo la linea d’ombra che traccia un tronco semi sommerso, lancio scettico il mio grosso Gurgle, dimentico i temoli del fiume, e con maggior intenzione lo seguo nel suo viaggio a pelo d’acqua…

I cerchi che si allargano sulla superficie, le teste che fendono l’acqua, le rapide salite delle fario di torrente, o i violenti attacchi sempre inattesi dei boccaloni mi emozionano, mi dedico sempre più esclusivamente alla ricerca di questi momenti, pur sapendo, così facendo, di perdere molte opportunità di cattura. Nella pesca a galla ho trovato molto di quello che cercavo andando a pesca: ambienti naturali, acqua limpida, l’osservazione dei dettagli, insetti, linea di flusso, strutture sommerse, una certa abilità di lancio, l’attesa del momento propizio, la ricerca della preda, l’interminabile attimo di sospensione da quando il pesce comincia a salire a quando lo senti in canna. Ma soprattutto adoro la sfida uno contro uno che spesso si genera: un po’ come in un film western, socchiudo gli occhi, stringo il sigaro tra i denti e mi sposto impercettibilmente per avere la giusta visuale...

Mi piace la ricerca della passata migliorabile, della mosca più credibile, insomma tutte quelle azioni che quando finalmente portano a un risultato mi fanno pensare di aver fatto tutto bene, di aver capito tutto. Tranne che al pesce successivo devo ricominciare d’accapo! Tutti sanno che il pesce si ciba al 90% sotto la superficie, cercarli a galla pone quindi molti limiti a noi e una zona di sicurezza a loro. Tentandoli solo a galla riduciamo di certo il nostro impatto. Siamo esseri differenti, loro vivono in acqua e noi fuori, mi piace non invadere il loro mondo, attenderli dove i due elementi si sfiorano, dove complicate leggi della fisica dividono acqua da aria, dove poso la mia imitazione e la trota sale a ghermirla.

Due, tre piccoli colpetti, e proprio mentre il Gurgle giace inerte tutto gli esplode attorno. La sorpresa anticipa l’adrenalina ed è subito forte la sensazione di potenza e peso dall’altra parte della lenza: cambia la frequenza, l’autorità di chi mi si oppone…

È un bel luccio.


 

Un posto nuovo – Mi sono imposto, per marcare lo scorrere del tempo, di frequentare almeno un posto nuovo ogni anno, un posto a me ignoto, che conservi ancora fresche le possibilità di fare della buona pesca. I posti noti, di cui conosco meriti e difetti, hanno molti vantaggi, ma non parlano più alla mia fantasia.

A volte per cercarlo vado lontano, ma ho notato che quasi tutto, aspettative, desideri mai esauditi, sogni dolcissimi, rimane nelle lunghe scie vaporose che seguono l’aereo. A volte rimango deluso perché ci vado con un desiderio troppo grande, o perché sono troppo differenti e poi mi servono sempre due o tre giorni di pesca demotivante per posare sui fiumi nuovi un’anima che mi sia familiare, al posto della loro che mi spaventa, due o tre giorni per riuscire a riallineare i miei desideri alla realtà, per cominciare a desiderare quello che realmente offrono.

Questo è lontano, ma non troppo. È bello da vedere, però non bisogna contemplarlo da turisti, ma immergersi, fondersi nella sua bellezza, più che non facendo di essa l’oggetto dell’essere li. Come pescatori abbiamo l’opportunità non solo di ammirarla, ma di esserne parte.

Spinto dalla curiosità e invaso dall’allegria di un desiderio da tempo coltivato, ora non so da dove cominciare, vorrei essere ovunque, allo stesso istante!

M’impongo la calma. È un posto che non conosco, ma tutto mi è familiare, mi hanno detto cosa aspettarmi, che i livelli saranno stabili e che i pesci si muoveranno nel pomeriggio. Mi hanno anche detto che non durerà per sempre, la fame d’energia è arrivata fin qui, il lago e la diga devono produrre più corrente e i conseguenti forti sbalzi di livello rovineranno questa meraviglia. Sarebbe bello poter fare qualcosa e non essere solo fruitori passivi. Molto passivi, vista la quiete totale sull’acqua…

Comincia la schiusa. Come sempre vedo prima le bollate poi gli insetti. Pesci di cui non sospettavo la presenza si materializzano con cerchi sull’acqua. Nei momenti d’attesa i minuti son sembrati ore ma ora, assieme alle effimere, vola anche il tempo. Che strani questi insetti, salgono sulla superficie e poi stupidamente vi rimangono, finendo inevitabilmente in bocca alle trote. Sono facili prede, ma chi non lo sarebbe? Pensate se dopo una vita passata sotto un sasso improvvisamente vi ritrovaste in un mondo nuovo, le ali per volare e la concreta possibilità di accoppiarvi. Anche voi sareste un poco straniti, o no?

 

Una sagoma a pelo d’acqua mi ricorda che è un posto famoso per qualche trota notevole.

Controllo il finale, la coda scivola veloce tra gli anelli, la mosca prende il giusto filo di corrente, la trota, lenta, si gira di lato e fende l’acqua. Per un breve attimo tutto è perfetto, e un attimo è il massimo che la perfezione sia mai riuscita a concedere.

Per un breve attimo stiamo esistendo l’una nella vita dell’altro, poi lei se ne va con in bocca la mia mosca e io con la delusione nella mia.

Il ritmo rallenta, poi cessa. Dovrei essere appagato, eppure una leggera noia mi assale. Siedo su un sasso ricoperto di licheni. Non sembrano neppure vivi. Sono esseri dalla crescita lentissima, non si riproducono e dedicano tutta la vita, decine o centinaia di anni, solo a sciogliere qualche mg di roccia dal supporto che li ospita. Difficile immaginare una vita meno gratificante, loro si limitano a esistere mentre io ho progetti, ambizioni, sono sempre alla ricerca di uno scopo.

Forse ora dovrei un po’ vergognarmi della mia noia momentanea, se fossi un lichene impazzirei di sicuro, eppure, la vita è vita, e anche loro sopporteranno qualsiasi avversità pur di sopravvivere anche un solo istante in più. Ragiono su questo: di certo ci sono cose, monti, fiumi, l’acqua che scorre, che non invecchiano, nonostante lo scorrere del tempo, nonostante noi.

Cose che questa mia breve vita non potrà cambiare.

Cose che sicuramente saranno qui ben dopo di me.