Un filo di Perle

 

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

 

 

Ci sono pesci che sogniamo e poi prendiamo, altri, come miraggi irraggiungibili, continuano a sfuggirci; ci sono regali del caso o premi meritati; pesci inattesi e altri talmente desiderati che alla fin fine, quando li abbiamo realmente tra le mani, ci deludono. Non andiamo a pesca per prendere tutte le creature del fiume ma per il pesce perfetto, nel posto perfetto, con il lancio perfetto. Abbiamo bisogno di assoluto, di bellezza e in questa ricerca infinita inevitabilmente catturiamo anche altro. Di quei pochi che lasciano un’impronta emotiva molti si contraddistinguono per la dimensione: l’adrenalina, catalizzatore fisiologico di ricordi, fa la sua parte. Ma non sempre. Spesso la taglia da sola non basta. Serve quell’attimo di perfezione e la giusta concatenazione di eventi che solo Caso e Natura sanno creare. E come un semplice granello di sabbia in un’ostrica può diventar Perla, rara, unica, preziosa, questi ricordi annidandosi dentro di noi acquisiscono una loro dimensione, ci arricchiscono. Diventano tesori da raccogliere e conservare con cura, schegge di passato che sopravvivono all’incuria del tempo e stimolano la nostra passione. Cancello costantemente il quotidiano, dimentico i pesci di ieri ma il luccichio di qualche gemma persiste nel buio della mia memoria. Lucida, splendente più che mai. E’ la continua ricerca di quel bagliore che m’induce a lunghe camminate, pellegrinaggi annuali, scelte irrazionali. M’induce al peggio e al meglio di me...

Mi sono fermato a raccoglierne qualcuna e ne ho fatto un filo. Dalla prima trota presa col verme, all’ultima “maledetta” che devo ancora prendere. Certe le ho già raccontate altre erano ancora solo immagini nella mente.

 

 

La prima trota - E’ una bella giornata: il cielo è grigio, bagnato e la minaccia di temporale è ancora nell’aria. Beh, è una “bella giornata” solo per me! Dopo anni di pesca a mosca disdegno le giornate di sole e smanio se dall’ufficio vedo il cielo coprirsi. Con una perturbazione in arrivo so che dovrei essere là, da qualche parte vicino all’acqua.

Continuo a risalire lentamente questo torrente con l’odore di pioggia e bosco che mi sgocciola addosso. E’ più piccolo di come lo ricordavo però le trote le vedo, le più scappano indenni, qualcuna con un'esperienza in più. Sono anni che non ci torno. Effimere illusioni mi hanno fatto rincorrere vecchi pesci in posti nuovi.

Dietro l’ennesima curva qualcosa attrae la mia attenzione: fitte radici contorte delimitano il lato profondo di una piccola buca, bassi rami protesi la ricoprono. Il posto di per sé è insignificante, non riuscirei neppure a lanciare, mi ha colpito qualcos’altro. E’ un ricordo. Mi siedo sulle radici e riemerge nitido.

Mio padre dopo qualche consiglio m'aveva mandato avanti, senza successo, l’inesperienza faceva la sua parte. Finalmente vicino a queste radici qualcosa s'attaccò al mio verme. Mi parve bellissima, fortissima, la più grossa del torrente e… l’avevo presa io! Era una trota, la mia prima trota.

La feci volare sull’erba e l’agguantai come un’anguilla. Avere un trofeo da mostrare a mio padre m’inorgogliva. Mi raggiunse subito e oltre ai complimenti del caso mi riservò un sorriso carico d’affetto e di soddisfazione personale.

Ero finalmente “Un Pescatore di Trote”.

Mi scuoto e procedo oltre, le catture si susseguono ma i ricordi mi perseguitano, chi m'accompagnava da ragazzo non c’è più o forse... ancora sì, perché è strano, quando sono a pesca non riesco mai a sentirmi solo, un sorriso particolare m'accompagna.

 

 

Primavera - La primavera è come il pifferaio magico. La sua musica è tanto suadente da penetrare perfino il grigio delle città e noi, nonostante il frastuono e le urla concitate del vivere moderno, ne percepiamo la melodia soprannaturale, il richiamo stregato. Come i bimbi della favola sappiamo che dobbiamo partire, seguire queste note che vibrando nel nostro cuore ne affievoliscono la volontà. I lavori restano a metà, gli impegni rimandati, le mogli cercano invano di trattenerci.

E’ primavera. E’ tempo d’andare a pesca.

Come pescatore associo la primavera a risorgiva e pescare in risorgiva mi riporta invariabilmente alla mia primavera di pescatore a mosca. Di pesca a mosca ne avevo letto su Pescare ma non avevo mai visto un pescatore in azione né un negozio che ne vendesse l'attrezzatura. L'occasione mi si presentò a vent’anni quando mi misero una stellina sulle mostrine e mi assegnarono a una caserma di Verona. Lungo il fiume un piccolo negozio esponeva in vetrina canne, mosche e qualche libro di Lumini. Tutte le sere, come un bimbo davanti al banco delle caramelle, m’incollavo alla vetrina sognando di trote, di mosche e di tutta la magia che doveva essere nascosta lì dentro. Come investii il mio primo stipendio è scontato. Tornato a casa in licenza montai alla meglio canna, coda e finale. Legai una mosca nera (nel mio immaginario una mosca doveva assomigliare a una mosca!), scelsi un raschio con acqua bassa, senza rami né cespugli e provai a lanciare. Con mio grande stupore, nonostante le parrucche e la mosca che non voleva andare avanti, due temerari cavedanelli si fecero catturare dalla Mosca, e io con loro.

Per sempre.

 

 

AppenninoUn lungo sentiero permette di superare la parte bassa di questo torrente dove sole, bagnanti e comodi pescatori lasciano in acqua solo vaironi e qualche cavedano. Più a monte le case a cui conduceva sono ruderi, da sempre, e sul vecchio ponte di pietra ormai passa solo qualche raro escursionista. Abbandono il sentiero e procedo seguendo tracce non scritte nell’ombra profonda del bosco.

Un’ampia piana, acqua bassa, insetti che volano pigri nell’aria tiepida del tardo pomeriggio. Poco più a monte c’è un posto perfetto, l’acqua in ingresso cade da un accumulo di tufo, il salto d’acqua lascia svaporare l’anidride carbonica e precipitare il calcare. Da un lato un enorme masso sparisce nel buio, dall’altro il flusso principale costeggia la riva scoscesa. Una tana e una postazione di caccia: una buca da manuale. Più volte son salito fin lassù. Lei è sempre lì, come l’accumulo di tufo ogni anno cresce un po’ e, diffidentissima, ogni anno trova un valido motivo per eludermi. Ignora i miei artificiali e sparisce in tana. Imprendibile.

Questa piana d’acqua bassa invece è una certezza, ogni volta mi regala un paio di catture.

Il grosso terrestrial cade nel tratto finale. L’onda a “V” che accelerando attraversa la piana è però qualcosa d’inatteso. Un attimo di stupore precede l’inevitabile ferrata su di un pesce diffidentissimo che solo per esser sceso un po’ più a valle è diventato di una facilità estrema. Nella buca da manuale, ora ci abita un pesce più piccolo. All’ombra del tufo anche lui crescerà, per poi scendere a valle.

 

Gacka - La curva è una delle tante. Seduto tra l’erba osservo il flusso in entrata. Lontano una rada scia di detriti traccia una morbida “S”. Vicino, tra erba e ghiaia del fondo, bolle d’aria trascinate dall’acqua sorgiva svaporano in superficie. Ciuffi verdi ondeggiano monotoni, ripetitivi, ipnotici. Come nuvole in movimento o fiamme nel camino convogliano la mia attenzione verso il nulla. Più in là, ai bordi dell’erbaio, l’acqua si gonfia appena: riflesso tra i riflessi, onda tra le onde trascinata immediatamente a valle dalla corrente. Poi più chiara, decisa, una testa sfiora l’acqua raccogliendo qualcosa dall’invisibile confine del suo mondo. Come ieri, a centro giornata e malgrado il sole, questi “qualcosa” che fuggono veloci verso la superficie si son portati appresso i loro famelici predatori. Come ieri, ma con la serenità del gatto già sazio che gioca, posso ignorare le prime bollate e attendere qualcosa di meglio. Il fiume è lungo, ricco di pesce ma i posti idonei a schiuse e bollate sono limitati. I pescatori a ninfa, con mia grande soddisfazione, sono già passati. Hanno scandagliato le poche linee di flusso tra gli erbai per poi spostarsi velocemente più a valle. E’ tutto per me. Non sono pesci selvatici, sono acque gestite. Le trote vengono immesse già adulte ma poi crescono rapidamente. Crescendo diventano diffidenti, vespertine. Crescendo oppongono alla cattura il ricordo di qualche triste esperienza e la loro mole. Crescendo hanno però bisogno di cibo e dove la minutaglia manca sono costretti, se la ricompensa giustifica il rischio, a nutrirsi a pelo d’acqua anche in pieno giorno. Ora vedo scendere una delle sporadiche mosche di maggio che lo abitano, elegante, serena, finalmente fuori dal freddo elemento che l’ha fatta crescere. Ancora più inaspettatamente la vedo risparire sotto la superficie, risucchiata nel suo ambiente primordiale da un essere schivo ma affamato. Raramente ho preso pesci in queste acque con la mosca di maggio ma la tentazione… beh, la tentazione è tentazione e mi trovo già intento ad annodare una Mayfly. Un’altra mosca passa a pochi metri da me e dove c’era il nulla si materializza un’ombra scura che con calma e serena precisione la fa sua. Posare e guardar scendere la corrente una di queste meravigliose imitazione è già un piacere, vederla sparire subito, alla prima passata, è quasi un peccato, ma un peccato di una perfezione assoluta!

 

Skeena (BC) Quest’ampissimo letto di ciottoli e ghiaia contiene a fatica l’enorme quantità d’acqua che convoglia a valle. La barca fila veloce di piana in piana alla ricerca del posto perfetto. Accumuli di tronchi fanno da trespolo naturale a splendide aquile dal collare, due lupi attratti dalle carcasse di salmoni si dileguano trotterellando nella nebbia del mattino, foche risalite fin quassù al seguito delle loro prede attendono placide nelle morte di corrente.

La noia ipnotica di questa pesca mi ottunde i sensi. Niente di visivo, niente di stimolante: lancio, drift, passo, lancio, drift, passo. Sono già oltre il mio limite quando la lenza improvvisamente si appesantisce. La canna già bassa si piega verso valle, il mulinello comincia a girare. Un pesce enorme, molto più a monte di quanto credevo, salta fuori dall’acqua. Guardo sbalordito questa bobina impazzita, già oltre la running line, già oltre il backing. Il pesce salta di nuovo, ancora più al largo. Un movimento appena percepito con la coda dell’occhio perché la mia attenzione e tutta rivolta al mulinello, ormai fermo, a questa manifestazione indiretta di potenza cui ho assistito.

Mosca e Steelhead sono andate, resto solo con i miei pensieri.

 

 

Verso sud - La mattina nella parte alta del fiume è stata più proficua del previsto.  All’ombra del bosco, protette e rassicurate dalla fitta vegetazione, le trote attendono con fiducia quel che scende sull’acqua. Sono pesci selvatici, di tutte le taglie. Piccoli esemplari a garanzia del futuro, discrete presenze confortanti e interessanti esemplari in piena forma fisica si alternano a un paio di incontri di taglia inattesa. In verità questo è un riempitivo, sono quaggiù per pescare verso sera, più a valle. I rarissimi pesci che ci vivono sono distanziati tra loro, difficili da individuare, escono in cerca di cibo solo in certi momenti. Non sono difficili da catturare ma da individuare. Capitare nel posto giusto al momento giusto richiede molto movimento, un po’ di determinazione e tanta fortuna. Però, come già detto, crescendo hanno bisogno di cibo, tanto, anche qui la minutaglia scarseggia e quindi gli insetti in superficie diventano tentazione irrinunciabile.

Nel tardo pomeriggio nuvole scure e compatte si addensano contro il profilo delle montagne. E’ tempo di scendere al fiume. Un po’ d’attesa ed ecco una bollata impercettibile. La vedo solo perché sono qui ad aspettarla. Ora riesco anche a intuirne la sagoma. E’ tra la riva scoscesa e un lungo ciuffo di vegetazione acquatica. Si sposta di lato con la doppia flessione del corpo tipica dei pesci di taglia. Lentamente analizza e intercetta quanto di commestibile gli passa a tiro. Vorrei fermare quest’istante. Uno, due, tre lanci infelici, uno buono quel tanto che basta a far scendere la mosca lungo il giusto filo di corrente ed ecco compiersi la meraviglia: una bocca si apre lentamente a pelo d’acqua e la mosca sparisce. Ancora un attimo di quiete e poi l’acqua esplode verso il cielo. La calma assoluta di un attimo prima si trasforma in vita o morte. Una sfida impari, il pesce non si è evoluto geneticamente per difendersi da amo e filo, la rottura della lenza è sempre un evento casuale non pianificato dal pesce. Sente qualcosa di strano e fugge in tana o lontano da questo fastidio, ma non sempre pesci così grossi hanno una tana: sono predatori, non temono nulla tranne l’uomo. Basta allentare la tensione e spesso un pesce incontrollabile rallenta e si quieta. Questo arriva alla rete ancora vigoroso ma ci finisce dentro. Continuo a stupirmi come ogni tanto, malgrado la mole, succeda.

 

 

Tra i prati - Le rive sono alte, spesso coperte di vegetazione, ottimo posto di osservazione per chi vuole scrutare l’acqua senza essere visto. Le trote sono poche, diffidenti e in posti imprevedibili. E’ una risorgiva interessante, di quei corsi d’acqua che se fossi un pesce starei ovunque ma, in realtà, anno dopo anno li trovo sempre e solo nei medesimi punti. Una piccola rientranza, un cespuglio che rallenta la corrente, ciuffi di erbe emerse che convogliano cibo in una linea di flusso obbligata sono sufficienti a trasformarli in luoghi d’elezione. Altri mille, all’apparenza simili, sono spopolati, o sembrano, perché son pesci che per manifestarsi richiedono il buio della sera o le prime schiuse della stagione.

Il banco d’erba è talmente ampio da deviare gran parte del flusso superficiale verso di me. Il pesce, visibilissimo nell’acqua cristallina, si sposta dall’ombra dell’erba alla linea di pastura cogliendo con grazia le ninfe emergenti. Il lancio sembra facile. Mi avvicino lento, senza fretta. Mi gusto il momento. L’acqua che muove con qualche bollata affrettata tradisce la taglia importante.

Le prime passate vanno sistematicamente a vuoto. Certi pesci e certi posti mi ricordano che non sono poi così bravo come penso. Nell’intrico di correnti la mia insidia si muove ora troppo lenta, ora troppo veloce, ora trascinata di lato, ma la trota, paziente, non se ne cura. Mi avvicino, cambio mosca, poi, finalmente, ecco l’attimo di perfezione: la mosca scende libera, svincolata dal finale e nella giusta linea di flusso. Fermo immagine. So con assoluta certezza che la prenderà ancor prima di vederla sparire! La lotta e il pesce tra l’erba sono solo una conseguenza marginale.

 

 

Bosnia -  La lunga schiusa è quasi terminata. Sono venuto fin quaggiù proprio alla ricerca di mosche di maggio ma montare una May fly di mattina e continuare a catturare con questa imitazione tutto il giorno è un’esperienza che non mi aspettavo. Guardando verso monte, rare, delicate bollate rompono ancora la superficie. Risalgo lentamente memorizzando questi ultimi ritardatari. Vicino all’altra sponda una sagoma scura attira la mia attenzione. E’ piazzata tra la riva opposta e un erbaio dal quale è parzialmente mascherata. Troppo grande per essere un pesce ma, all’apparenza immobile, ondeggia lentamente intercettando ninfe trasportate dalla corrente. La osservo senza fretta. Al passaggio di una grossa Danica freme appena. Improbabile che salga a galla ma un tentativo disilluso con la secca mi costa poco.

Appena la mosca cade un po’ troppo nei paraggi succede l’imprevedibile: il pesce alza la testa, si lascia trasportare a valle dal flusso e ghermisce la mia “piccola” Mayfly. M’impongo la calma. Qualche esperienza precedente sul Piave e le prime bollate del mattino mi avevano ricordato che questi grossi pesci hanno tempi diversi rispetto alle trotelle cui sono abituato. Aspettare. Attendere che chiuda la bocca e torni in posizione”. Dopo qualche ferrata a vuoto questa nozione, riportata nei sacri testi di pesca a mosca, mi era velocemente tornata in mente.

In un attimo mi passa davanti agli occhi tutta la giornata di pesca ma quando sollevo la canna ce l’ho! E’ difficile per me capacitarmi che sia realmente salita sulla mia mosca ma ora lei è sbalordita quanto me, entrambi indecisi sul da farsi. Mai vista una trota di questa taglia. Cerco di forzarla verso centro fiume ma parte verso monte, incrocia un ramo sommerso e lo 0,18 a cui avevo legato la mosca se ne va come fosse cotone. Un’emozione troppo breve ma intensissima.

 

 

Nella rete -  Scivolo in acqua silenziosamente. Non conosco la profondità e non mi fido di me stesso perché so che basta una bollata ad azzerare quel poco di razionale che mi rimane. Sentire finalmente qualcosa sotto i piedi mi rincuora. Ancora qualche passo e il pesce è a tiro.

Continua a bollare.

Attendo.

Mi prendo un attimo per assaporare questo momento. L’osservo a pelo d’acqua intento a scegliere con cura e nessun dispendio d’energia ciò che porta la corrente. Lancio facile su pesce facile. E’ una trota che praticamente non ha mai visto una mosca artificiale ma comunque è una situazione perfetta: c’è la giusta luce e una schiusa in atto, c’è un magnifico pesce nato e cresciuto in acque libere e quel po’ d’incoscienza che mi pizzica la schiena. Un momento che ho atteso e sognato per mesi.

Al primo passaggio corretto si gira pigramente di lato e risucchia la mia piccola sedge. Solo ora mi rendo conto che sono a centro fiume con l’acqua alla vita, la corrente è costante da sponda a sponda e le rive sono un intrico di vegetazione. Non posso portarlo in acqua lenta, non posso spostarmi.

Il pesce è molto più grande del pur capiente guadino e i miei primi maldestri tentativi sono andati miseramente a vuoto. L’amico sulla riva mi filma e se la ride. Finalmente il pesce, ormai esausto, si allinea perfettamente al guadino, alza la testa e per una frazione di secondo forza della corrente e trazione sulla lenza si equivalgono. Il tempo si ferma. Un momento perfetto, bellissimo.  Basta allungare il braccio ed è mio. Un largo sorriso m’illumina il viso ma il pesce con un ultimo guizzo apre l’amo e se ne va. Nella rete rimane solo questo ricordo, sul mio viso, stranamente, persiste un ampio sorriso. Fra due giorni finalmente lo prenderò ma ciò che resta è quest’attimo d’immobilità.

 

Cayo Cruz - Il vento costante e il rollio della barca dei giorni scorsi mi hanno innervosito ma oggi finalmente si scende. Il fondo è soffice e il percorso tra le basse mangrovie non sempre agevole ma il piacere di tentare Bonefish in tailing compensa la fatica. Coi piedi a terra e la bassa marea cerchiamo sagome scure in lento movimento o pinne che ondeggiano euforiche sopra il pelo dell’acqua. Diversi pesci solitari o a gruppi incrociano il nostro procedere. Pesci facili o difficilissimi, non lo saprò mai perché anche così, con tutta l’azione che si svolge molto più lentamente che dalla barca, pochi lasciano tempo per una seconda occasione. Li pendi o non li prendi. Manca il rifiuto, il ripensamento, la passata migliorabile, mancano le variabili e la sfida uno contro uno della pesca alla trota.

Eccone uno solitario, è nell’acqua bassissima tra cespugli di mangrovia. La schiena fuoriesce dall’acqua. Concentrato nella sua ricerca si fa avvicinare più del solito ma si cela dietro la vegetazione. Ora lo intravedo solamente, attendo che si giri. Lancio il probabile gamberetto a filo del cespuglio, lui lo vede e lo segue. Ogni strip lo incuriosisce ma non lo convince. Ogni strip è più vicino. Quando il finale entra nel cimino m’immobilizzo. Siamo vicinissimi, occhi negli occhi. E’ incredibile ma sembra proprio mi stia fissando. Mi sfila accanto sempre focalizzato su di me, io, congelato sotto il sole dei tropici, lo seguo solo con gli occhi. Appena mi supera e mi volge la pinna caudale con un minimo movimento gli appoggio la mosca poco distante. La presa è immediata e decisa, la fuga non la ricordo, la taglia nemmeno. Non il più grosso e potente ma di sicuro la cattura più emozionante e l’unica che rimarrà impressa a ricordo di questa settimana di pesca.

 

 

Predatori - Non è facile venir quassù, le Dolomiti Friulane si ergono bianche e aspre ai bordi dell’acqua, i sentieri sono rari e dimenticati, i paesi sono pochi, piccoli e molto più a valle. L’acqua però genera pozze di purissimo collirio azzurro e la solitudine è una certezza.

Ho fame. Mi siedo ai bordi dell’acqua e scruto tra i sassi le prede e i predatori, costantemente impegnati nell’esercizio naturale del mangiare senza essere mangiati. Ci sono pesci, pescetti, insetti acquatici. Poi zoo-plancton, alghe, acqua, il sole e, riflesso nell’acqua, io, che ora mangio un panino ma sono qui a caccia di una trota talmente grossa e in alto nella piramide alimentare da non temere nessuno oltre a me o il bracconiere che abita in zona. Già, la particolarità di questi posti è anche questa, i locali prelevano pesce, è una certezza, ma quando arrivi al punto dove l’impegno per risalirli supera il valore delle possibili catture te ne accorgi.

Ho superato quel punto. Lo so perché ho cominciato a catturare! Sopra la gola piccole piane si susseguono a pozze rocciose: trote di taglia modesta ma dalla livrea perfetta son preda della fame e della loro giovane ingenuità. E’ il momento che preferisco. Esaurita la smania della cattura e senza pesci trofeo in testa mi rilasso, riesco finalmente a prestare attenzione al contorno. Osservo i dettagli, faccio qualche foto, rallento a tal punto da percepire il pomeriggio che, lassù in alto, avanza sfiorando lentamente le cime degli alberi. La calma mi appaga. Non sempre è stato così, un tempo ho risalito questi torrenti con impeto, inseguendo la fatica che annulla i pensieri. Li ho risaliti senza guardare.

Peccato, noi vediamo solo una minima parte del mondo acquatico e di quello che lo circonda, ma abbiamo la possibilità di farlo con tanta attenzione da riuscire a carpirne i segreti.

Tanta attenzione che ora, finalmente, ombra tra le ombre, la vedo: la prima bella trota della giornata. E’ in una rientranza della parete rocciosa dove la corrente è quasi assente ma il flusso principale è a pochi centimetri. Un po’ di finale contro la roccia… ed eccola che sale. Non era difficile da pescare, solo da vedere!

Beh, non è neppure troppo grossa, da queste parti le trote non sono da foto di copertina, ma a ogni modo è la più bella della giornata. La rilascio. Con un lento colpo di coda torna verso il blu.

Che silenzio attorno.

Che meraviglia.

Mi piace tutto di questo momento

 

 

Mekouska (Salmothymus O.)  - L’appuntamento è al ristorante di Mustafa. Mentre attendiamo che serva i clienti ci fermiamo con il naso in aria ad ammirare un esemplare imbalsamato di oltre 4 chili appeso alla parete. Cade un occhio anche sul menu e le Mekouska, anche se al doppio del prezzo della trota Fario, sono la specialità del locale, e sembrano le più richieste. Abbiamo attraversato buona parte della penisola Balcanica proprio alla loro ricerca ma il tentativo sulla Neretva non ha dato grandi risultati: solo esemplari piccoli e dalle caratteristiche poco definite. Ora siamo qui, in cerca d’indicazioni di pesca, permessi e alloggio. L’incontro si svolge come da ormai consolidata prassi bosniaca “polacco-polacco” (piano-piano). Prima ci si siede, poi si beve, poi si parla una lingua di gesti e parole intuite e poi senza fretta ma con la gentilezza e disponibilità di questa popolazione, ci portano, ci accompagnano ci fanno vedere, ci consigliano, insomma ci regalano molto del loro tempo, che sembra non costargli nulla.

Sono già stato qui, ma la mia esperienza risale a una guerra e tre figli fa. Ero giovane, pieno di sogni e quei giorni li ricordo straordinari, luminosi, pieni di sole. Tutti questi chilometri forse non li ho fatti solo per le trote. A volte ci si illude che un ritorno indietro nello spazio sia pure un ritorno indietro nel tempo…

Ora questa risorgiva bosniaca conserva ben poco dei miei ricordi. Continua a fuoriuscire pura e imponente da una parete verticale ma dove c’erano solo orti e rare casette rurali ora si affollano bar, ristoranti e brutte costruzioni che affondano i loro pilastri direttamente nell’acqua.

Mustafa ci rincuora, oltre che imbalsamate e sul menu ci dice che “le trote dalla bocca soffice” sono anche nel fiume, ma sono poche, schive e se penso di prenderle a mosca secca sono un illuso. Mi propone un Martin e poi una moschera. Mi accontento di un consiglio e la promessa di pescare assieme verso sera.

Con i livelli primaverili il fiume è accessibile in pochi punti, proviamo senza successo qualche posto indicatoci e poi aspettiamo l’appuntamento serale. Abbiamo una piccola sfida tecnico/culturale: due locali, Mustafa e il suo procacciatore di trote armati di piombo lungo e mosche sommerse, contro dei pescatori italiani poco pratici di ninfe. Beh, il risultato sembrerebbe scontato, eppure… le uniche due trote di taglia “padellabile” salgono sulla mia sedge a buio fatto, e con lo stupore del pubblico tornano in acqua. Piccole soddisfazioni del pescatore a mosca.

 

 

AutunnoUn altro torrente, un'altra camminata. Un altro pezzo di mondo solo per me. Cammino, mi affanno, mi fermo a guardare verso valle i miei progressi. Dopo il grande prato il sentiero costeggia un rudere e s’inerpica sul crinale. Io invece scendo lentamente tra il bosco e poi, sempre più ripido, scendo tra i rami il muschio e le foglie, e scivolo tra le foglie e l’odore di bosco. Mi alzo che sono un po’ bosco.

Ecco l’acqua.

Fredda, pura, primitiva. Ha il colore delle foglie, delle rocce, dei rami, del muschio sui sassi. L’attraverso, mi penetra negli scarponi, mi bagna. La risalgo sempre più in alto, sempre più vicino alle sorgenti, forse sempre più vicino a quello che sto cercando.

In questi piccoli riali le trote di una certa taglia sono rare, identificabili e abitano posti definiti. La taglia del pesce non è un assoluto, è rapportata alla dimensione del corso d’acqua. Un pesce può essere piccolo per un grande fiume del piano ma straordinariamente grande per un piccolo riale. Succube di questo paradosso mi ritrovo a far molti più chilometri inseguendo queste trotelle di quando vado veramente a caccia di pesci grossi. Più su difatti ho un appuntamento. Ci siamo imbattuti l’una nell’altro un paio d’anni fa. Lei conosce la punta del mio amo e io dove si apposta. Lei conosce le mie insidie ma io so che la fame fa commettere imprudenze. La prima volta l’ho punta, la seconda non c’era, la terza c’era ma con due lenti colpi di coda è entrata nel buio. L’ultima volta ha preso la mia mosca e s’è intanata.

Oggi però è il giorno giusto. E’ Autunno, ultima uscita di stagione. In Autunno le foglie si colorano e poi cadono e le trote, affamate dal fresco, con loro. Non esiste momento migliore.

Mi avvicino in punta di piedi, scosto le frasche del fine buca e osservo. Ecco la “maledetta”!, come il solito è pigramente appostata nel filo di corrente. Fletto il cimino e mosca-coda-finale che un attimo prima tenevo in mano partono verso monte. Immobile io, immobile lei. La grossa sedge si avvicina, lei sale, lentissima. Lei freme, io fremo, lei scende, io… la maledico nuovamente.

Rinuncio a ripetere il lancio, piano piano mi avvicino all’acqua e immergo la fotocamera. Non bisognerebbe attribuire agli animali delle prerogative umane ma comincio a pensare che stiamo diventando amici: non accetta più di farsi pungere ma ora almeno rimane in posa!

Me ne vado, incerto se tornar su un’altra volta, ma a casa, guardando la foto, trovo un valido motivo per farlo. Ecco, non so cos’è ma oltre la taglia ha qualcosa d’interessante. E quel “qualcosa” mi mulinerà in testa tutto l’inverno. Certe trote in effetti son come le belle donne: quando cominci a girargli attorno non smetti più di sognare! … e come le belle donne qualcuna ti rimane nel cuore.

E le perle!? Beh, quelle alle belle donne son sempre piaciute!