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  Su 
	al Sud 
  Marco 
	Sportelli   
	 
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	 Parto solo. E’ un lungo viaggio ed in un lungo viaggio uno 
	trova pensieri cui pensare. Guidare senza fretta e senza traffico mi piace. 
	Non so a voi ma a me stimola la fantasia: la mente è attenta e vigile, il 
	ritmo cardiaco è un po’ accelerato, in circolo ci sono tracce di adrenalina, 
	insomma, le idee migliori mi vengono proprio mentre guido o mi faccio la 
	barba. Frasi che filano, battute argute ed intuizioni straordinarie si 
	accavallano nella mia mente… per dissolversi al primo sorpasso. Se potessi 
	scrivere mentre guido diventerei famoso…  Ho parafrasato il titolo di un noto film perché “Su, al 
	Sud” è un concetto reale. Sono abituato a pensare neve, montagne e grandi 
	fiumi al nord; mare, sole e pomodori al sud. E’ vero, ma non completamente. 
	Nella parte centro meridionale dell’Appennino ci sono rilievi importanti che 
	superano i 2000mt. Montagne calcaree che d’inverno si coprono di neve per 
	poi alimentare con linfa fredda e pura i meravigliosi fiumi da trote che si 
	celano tra queste vallate. Nord e sud sono anche sinonimo di freddo e caldo, 
	ed è vero non solo nell’aria ma anche nel cuore della gente. Prendendo 
	contatti per organizzare al meglio questa gita ho incontrato persone 
	disponibili, persone che amano i loro fiumi e si adoperano per valorizzarli, 
	persone che valgono come la bellezza dei luoghi. Mi sono deciso per il sud anche curiosando nei vari forum 
	di pesca: leggendo tra le righe e dando importanza agli ampi spazi vuoti ne 
	scaturisce un leggero brusio di fondo che, volutamente non chiaro, sembra 
	dire “le trote… grosse… si prendono… al sud…”.  Beh, come dicevo, è un lungo viaggio…
	           
	 
	 Abruzzo 
	– Ho già pescato la zona NK del Sangro ma quest’anno ho un’arma in più, sono 
	in contatto con Massimo, costruttore di canne in bambù ed esperto 
	conoscitore di questi ambienti. Massimo mi accompagnerà alla scoperta di 
	posti in cui un pescatore di passaggio difficilmente riesce ad accedere. 
	 
 Amo i riali appenninici, lo sanno tutti e credo anche lui, 
	perché la prima cosa che mi propone è proprio un piccolo torrente, il
	Giovenco. Beh, mi ci butto a… pesce! 
	 
 A valle di Cesoli occorre solo la 
	licenza di pesca, l’unico balzello lo si paga alle fronde che si protendono 
	sull’acqua. Sì, è piccolo, infrascato, completamente naturale, però fa parte 
	dei torrenti gentili, quelli che si lasciano risalire agevolmente camminando 
	in acqua o sulla traccia che a tratti li costeggia, ed ha conservato l’acqua 
	pura di sempre. Le trote ovviamente sono piccole, quasi tutte selvatiche, ma 
	non ingenue come quelle cui sono abituato. Il Giovenco mi sta impartendo la 
	prima lezione di questa gita: le acque del centro-sud sono molto più 
	produttive dei miei piccoli torrenti appenninici o dei torrenti rocciosi del 
	nord Italia. I pesci hanno da mangiare e scelgono con cura. Le mie orribili 
	ma universalmente efficaci formicone segnano il passo, anche su pesci 
	spudoratamente in attività, mentre le imitazioni più realistiche di Massimo 
	catturano con regolarità. Per questi piccoli torrenti prediligo una 
	teleregolabile e declino l’offerta di una canna in bambù. Pragmatico e 
	pasticcione come sono ho sempre reputato questi attrezzi obsoleti, fragili e 
	pesanti, sopratutto per questi ambienti estremi. 
	 
	 Bello questo posto. Gli enormi farfari coprono in parte 
	l’acqua facendolo sembrare in qualche modo preistorico. Il tempo rallenta ed 
	i volteggi del bambù con loop stretti e pose precise m’invogliano alla 
	prova. Non ne ho mai usata una in pesca e la prima sensazione e 
	piacevolissima. E’ più leggera di come me l’aspettavo, non vibra, non 
	strappa, ma è viva, e non ho neppure bisogno di adattarmi ai suoi tempi, 
	siamo già in sintonia: è rapida e di punta come sono abituato. Ed è bella, 
	bella come questo torrente solitario e silenzioso. Mi rendo conto che ci si 
	può realmente pescare proficuamente. Seconda lezione: è salutare, di tanto 
	in tanto, mettere un punto interrogativo a ciò che si è dato a lungo per 
	scontato. Mi rimane solo un velo angoscia tant’è che quando una stretta 
	forra invalicabile ci costringe a tornare all’auto la riconsegno 
	immediatamente al proprietario. 
	 Incredibile, ci ho pescato e non l’ho neppure rotta! 
	 
	 
 
	 Il pesce non manca, oltre a trote di tutte le taglie c’è 
	sempre la possibilità d’incocciare in grosse iridee e qualche vecchia fario. 
	In maggio il Sangro è noto per le schiuse di grossi plecotteri. E’ fine 
	maggio, purtroppo sono appena terminate, ma non nella memoria delle trote, 
	difatti riesco a catturare qualche pesce interessante facendo pattinare 
	grosse stonefly in corrente. Per chiudere in bellezza, a sera, una schiusa di 
	tricotteri mette in frenetica attività tutti i pesci del fiume. Le catture, 
	come spesso accade, non sono facili finché c’è luce per diventare quasi 
	banali a buio fatto. 
	 
 
	 
	 
 
	
	Il giorno successivo il mio mentore mi sprona verso la 
	libera. “Il vero Sangro” 
	mi dice “inizia a valle del No 
	kill, anche molto più a valle”. Le trote nella libera sono molto 
	più rare ma il fiume riacquista un aspetto selvaggio e naturale. Quaggiù le 
	piane sono più lunghe, più profonde, gli alberi sembrano nascere 
	direttamente dal fiume e nelle curve l’acqua ha scavato buche profonde. Tra 
	massi, rocce e radici si celano tane promettenti che stimolano il nostro 
	istinto da predatore, ma non è facile da pescare e tanto meno accedervi: 
	mancano i sentieri e la vegetazione arriva fin dentro l’acqua ma 
	soprattutto, se non si è esperti del posto, è improbabile uscirne a buio 
	fatto. Eppure le trote, quelle grosse trote ormai rare per cui era famoso 
	questo fiume, quelle trote che qui hanno spazio per crescere e nascondersi 
	si muovono raramente durante il giorno. L’unico modo per avere una 
	possibilità, anche solo una possibilità, è di tirar tardi. Il consiglio di 
	Massimo ve lo giro pari - pari: 
	“…rimani fino a buio ma solo dopo esserti accertato con precisione dove 
	hai lasciato la macchina ed il tragitto per ritornarci”. Posso 
	aggiungere che un guadino a manico lungo ed una buona pila frontale vi 
	saranno d’aiuto. 
	 
	 
	 
	 
	 
	 
 
	 Molise 
	– A pochi chilometri dal Sangro scorre il Volturno. Qualcuno, a ragione, 
	l’ha definito la Sava del sud Italia e, in effetti, sostituendo conifere a 
	latifoglie ci si potrebbe confondere. Mi accompagna, in parte virtualmente, 
	Pasquale. Lui è campano, 
	non 
	abita vicino al Volturno ma quale frequentatore abituale lo conosce a fondo. Infettarsi di pesca a mosca in provincia di Napoli non è 
	facile, ma come sto velocemente imparando in questo viaggio, non è neppure 
	da classificare tra le malattie rare. Ha cominciato insidiando cavedani nel 
	basso Volturno per poi risalire, chilometro dopo chilometro, sempre più 
	lontano da casa e vicino alle sorgenti. Le trote sono meno furbe, meno 
	grosse, meno abbondanti dei cavedani ma ti stregano, è matematico: quando 
	cominci a pescarle non puoi più farne a meno.  Il Volturno in pochi chilometri passa da un rivo che, 
	causa captazioni, si attraversa quasi con un salto, ad un imponente fiume 
	del piano difficile da attraversare anche con i wader. Il motivo di questo 
	suo rapido trasformarsi è dovuto principalmente alla sua origine sorgiva: i 
	massicci calcarei che lo circondano drenano direttamente in alveo l'acqua 
	che li pervade. La reimmissione dell’acqua prelevata alla sorgente ed un 
	paio d'affluenti fanno il resto. L’azione di pesca di conseguenza assume 
	sfumature diverse, si passa dalla pesca in caccia nel tratto alto, a trote 
	iperselettive nelle piane o tra gli erbai più a valle. Ho già pescato il Volturno e quest’anno mi limiterò ai due 
	estremi: la parte alta ed il NK dei “Venticinque Archi”.  
	 Alto Volturno 
	– Sopra la riserva di Colli la pesca è libera e qualsiasi accesso (in verità 
	sono pochi) conduca al fiume è buono. La strada corre alta sul torrente, 
	quindi c’è da mettere in conto una discreta scarpinata. Il fiume è 
	assolutamente naturale e la vegetazione lo stringe da vicino lasciando 
	l’acqua come unica possibilità di risalirlo. Occorrono i wader ed una certa 
	determinazione ma l’acqua limpidissima e le fario, quasi tutte macrostigma 
	selvatiche, meritano i nostri sforzi. Sono posti da canna corta o 
	teleregolabile. Sono posti che, come ho già imparato sul Giovenco, non ci 
	sono schiuse di Chernobyl e quindi devo ripiegare su qualcosa di più 
	credibile: classiche mosche da caccia o piccole sedge. Le catture sono 
	sudate e di taglia “torrente” ma l’ambiente integro e la genuina spontaneità 
	con cui aggrediscono la mosca giusta mi regalano piacevoli ore di pesca. 
	 
 
	 
	 
	 
	 
	
	Pesco a risalire, mi muovo costantemente in acqua 
	vergine, sempre più vicino alla sorgente. Ci sono posti degni di nota, a 
	volte. Un grosso masso, una radice, cospirano nel dare al pesce sicurezza e 
	flusso costante di cibo. Posti che sono come bollate: la trota DEVE essere 
	li! 
	Nella 
	parte centrale è la vegetazione riparia a dominare la scena: salici, ontani 
	e cerri si contendono lo spazio libero sopra l'acqua ma più a monte la 
	roccia e l’aumento di gradiente generano buche profonde più idonee alla 
	pesca al tocco o agli amanti della ninfa. 
	 
	Un 
	pilone mi riporta alla realtà: sbuca tra la fitta vegetazione e si erge 
	grigio ed infinito verso uno spicchio di cielo. Mentre quaggiù scorre 
	lentamente il pomeriggio, lassù, molto molto più in alto sento scorrere 
	velocemente il vivere moderno. Rientrando verso valle mi fermo a fotografare 
	delle orchidee selvatiche. Tendo a riempire casa mia di cose inutili ed ora 
	mi rendo conto che è solo per sopperire a ciò che manca veramente: uno 
	spicchio di cielo azzurro e questi meravigliosi prati fioriti. 
	 
	 
	 “Venticinque archi” 
	- Il fiume quaggiù è… fiume. Si allarga in più rami o scorre in ampie piane 
	bordate di vegetazione. Non è facile da attraversare, il fondo irregolare e 
	la corrente fino a filo di sponda indirizza verso l’utilizzo di un bastone 
	da wading. L’ho sempre ritenuto un accessorio più ingombrante che utile ma 
	anno dopo anno i sassi diventano più grossi e la corrente più forte. 
	Soprattutto dopo i cinquanta… La notevole portata, il fondo ciottoloso, gli 
	erbai e soprattutto l’abbondante presenza d’insetti sostengono una discreta 
	popolazione di trote e ne fanno una meta fantastica per chi ama la pesca a 
	galla. Oltre a svariate famiglie di tricotteri ed effimere la regina di 
	queste acque è l’Oligoneurella 
	Rhenana. Grossa effimera di colore bianco che con le sue schiuse 
	massicce e protratte, da Giugno a Settembre, catalizza l’attenzione serale 
	dei pesci presenti. 
	 
	 Una schiusa rada d’effimere sta tenendo in attività qualche pesce regalandomi catture perfette: pesci difficili, pesci che richiedono il meglio da noi, ma non impossibili. A sera il fiume esplode di vita. In acqua ci sono dun, spent, grossi ecdyonuridi che si accoppiano, sedge che depongono o sciamano sull’acqua, trote ovunque.   
	
	 Non è facile, ci sono troppi stadi e troppi insetti, per 
	giunta le trote non agiscono in modo univoco. Di solito nel momento che 
	pensate di aver risolto l’arcano per averne presa una con un emergente di 
	sedge vi accorgete che quella subito a monte non accetta nulla che non sia 
	una spent d’effimera. Di solito. Questa sera è peggio, neppure le mie 
	preferite, quelle di cui ho cieca fiducia riscuotono il minimo interesse, 
	neppure un rifiuto. Sono diventati pesci impossibili.  Terza lezione: se i moschisti locali dedicano 
	un’attenzione maniacale alla costruzione delle loro imitazioni c’è un 
	motivo.  Tutta questa tensione vitale, questo nascere, riprodursi, 
	morire, questa frenesia alimentare sarebbero straordinari ed appaganti per 
	se stessi… se non fossi qui per catturare la più grossa della piana. Il piacere della pesca a mosca ed il gusto estetico della 
	cattura raggiungono il massimo nel tardo pomeriggio, quando la luce ci è 
	amica, spariscono i riverberi, il vento si ferma; vediamo la mosca ed il 
	pesce che sale. Più tardi, quando avanza la sera, l’esteta lascia spazio 
	al predatore, il piacere mentale alla tensione ed all’adrenalina: rimaniamo 
	qui non per la bellezza del gesto ma per la preda da foto. 
	 E’ quasi buio. Qualche bollata 
	importante mi convince per una grossa sedge ed un filo adeguato.   Individuando un grosso pesce in attività in posti 
	difficili occorre pianificare in anticipo le fasi successive. Sostituire il 
	finale e verificare la tenuta dei nodi sono il primo passo, subito dopo 
	occorre prevedere dove vi porterà il pesce ed individuare come e dove 
	salparlo. Se avrete la fortuna di agganciarlo. Il guadino deve già essere 
	pronto all’uso. Con pesci di taglia occorre qualcosa d’idoneo. Quello che 
	amiamo esibire appeso alla schiena è buona per la frittura. L’ho imparato 
	anni fa con le grosse trote del Piave: presentare il mio piccolo guadino in 
	legno a pesci di un paio di kg mi faceva prima sorridere e poi imprecare 
	perché quasi invariabilmente si risolveva con un pece perso. Ora ne ho uno 
	in legno molto più capiente, per luoghi aperti come i fiumi del nord, ed uno 
	pieghevole per risorgive e posti intricati. Quello pieghevole è un relitto 
	ma ha un valore affettivo: lo usavo per i lucci vent’anni fa, e prima di me 
	mio padre per le carpe. Si porta piegato sulla schiena, è telescopico, 
	un’ampia apertura ed una rete profonda a maglie rade e sottili. E nato per 
	uno scopo e lo svolge con agilità e precisione. E’ l’esatto opposto di una 
	rete da C&R ma provate ad immergere in corrente una rete fitta abbinata ad 
	un manico lungo e vi renderete conto della potenza dell’acqua.  Se il mio ha più di trentenni c’è un motivo: lo uso poco. 
	Troppo poco. .jpg) 
	
	           
	Biferno 
	- Ogni 
	anno mi piace provare qualche posto nuovo. Quando studio una carta 
	geografica, con particolare attenzione alle righe azzurrine che convergono 
	verso valle, e confronto le centinaia di possibilità al numero infinitamente 
	minore di opportunità concesse mi monta una leggera angoscia: non li 
	pescherò mai tutti. I posti nuovi però sono anche un’incertezza e li approccio 
	con una certa ansia. Gli itinerari che programmo, quindi, sono sempre un sottile bilancio emotivo tra ansia da “come sarà sto’ posto” ed angoscia da “non li pescherò mai tutti”. Insomma, se voglio vivere sereno mi conviene frequentare 
	solo laghetti a pagamento… ma anche di quelli ce né tanti… Mi basterà una 
	vita? Il Sangro e il Volturno li ho già frequentati in passato, 
	in posti diversi ed in stagioni diverse, ma comunque il colore dell’acqua, 
	il paesaggio che li circonda sono nel mio panorama mentale. Il Biferno no, è 
	nuovo. In verità non proprio, mi ci portò mio padre da ragazzino, ma più a 
	valle, dove ancora predominano i ciprinidi. Mi ricordo barbi e cavedani alla 
	passata, i granchi di fiume attirati dal retino, i locali che ci portavano 
	formaggio in cambio di pesce e migliaia di farfalline bianche (Oligoneurelle?)che 
	a sera, attirate dalla luce, invadevano il nostro bivacco sul fiume, ma 
	tutto ciò non è un ricordo reale: è visto con gli occhi di bambino, è 
	soffuso di mito. Dopo 35 anni per me il Biferno può essere solo un posto 
	nuovo. L’economia del cemento ed i fondi post terremoto hanno steso lungo ogni fiume una fondovalle a scorrimento veloce. In un’ora si può chiudere la canna sul Sangro, lavarsi gli stivali nel Volturno e riaprirla sul Biferno. Da Colli al Volturno si prende per Isernia, poi per Boiano ed infine per Termoli. Viaggiando prudenzialmente sotto i 100-150 Euro di multa e a non sbagliare strada richiede poco più di mezz’ora ma il mio navigatore non funziona, cioè, non è proprio rotto è che funziona solo attaccato alla spina di casa, e per quanto lunga ci puoi comprare la prolunga… non ci vai molto lontano. Dopo qualche inversione ad “U” costeggio il fiume ed esco alla Piana dei Mulini. 
	 Le informazioni 
	raccolte concordano nel dire che dopo un passato triste, il
	 Non pesco sereno perché non sono riuscito a fare il 
	permesso, così dopo qualche ora di pesca proficua mi adeguo all’usanza e 
	torno sul Volturno: un paio di belle trote mi aspettano! Sono venuto con ricordi di gioventù e me ne vado con il 
	ricordo di un odore. Sarà una mia impressione, sarà il temporale del giorno 
	prima, ma quest’acqua un po’ puzza! 
	
	           
	
	Campania – 
	Sele e 
	Tanagro sono nomi noti tra i pescatori a mosca. Una fama meritata per la 
	bellezza dei luoghi e le enormi trote che li popolavano fino agli anni ’80. 
	Sono paragonabili ai grandi fiumi del nord ma con acque molto più 
	produttive. Sono fiumi che hanno sofferto d’incuria e poi di gestione FIPS. 
	Sono fiumi ancora vivi che, semplicemente lasciando fare alla natura, 
	tornerebbe agli antichi splendori in pochi anni. Se poi un gruppo di 
	volenterosi, come sta accadendo ora a Contursi, si batte e si prodiga per 
	accelerare questa ripresa ci si può solo aspettare meraviglie.  
	 A Contursi Terme ci attendono gli amici del Mosca Club 
	Campania. Collaborano a titolo volontario con l’ARS Sele che dal 2010 ha in 
	concessione il tratto di Sele che va dalla confluenza con il Tanagro a 
	risalire per nove chilometri. L’ambizioso progetto è mirato a riqualificare 
	la risorsa “Sele”’ in generale, con la realizzazione di accessi e percorsi 
	ciclabili e pedonali, ed in particolare a tutelare e ripristinare la 
	popolazione autoctona Fario mediterranea del Sele. A tal proposito è stato 
	allestito un incubatoio di valle. Si prelevano i riproduttori dal fiume, si 
	spremono, si attende che gli avannotti riassorbano il sacco vitellino e poi 
	si seminano in alveo. Questo è l’unico supporto che viene dato alla natura. 
	 
	 Dopo una rapida visita all’incubatoio si va a pesca. Il 
	fiume alterna tratti veloci, qualche buca e lunghe lame. La conformazione è 
	da pesca in caccia ma da precedenti lezioni e da quello che vedrò a sera i 
	pesci sanno molto bene quando e di cosa nutrirsi, infatti ora, in pieno 
	sole, trovo solo esemplari piccoli e particolarmente difficili. Cercavo 
	pesci rustici e selvatici, pesci cresciuti nel fiume? Eccoli! Ma prenderli…  
	 Molto meglio la pausa pranzo. E’ incredibile come una 
	giornata di pesca migliori considerevolmente seduti a tavola a bere vino e 
	parlare dei tempi andati! Si parla di Sele-Tanagro, macrostigma e 
	soprattutto di Rhenane, vanto e cruccio dei pescatori locali. 
	 Ho già pescato su una schiusa di 
	questo insetto e, non avendo imitazioni adeguate, con scarso risultato.
	“Qual è l’imitazione migliore?” La risposta è univoca:
	“Quella che ha appena preso il 
	pesce”, e su queste disquisizioni il tavolo da pranzo si trasforma in 
	una sessione estemporanea di costruzione. Confrontarsi giornalmente con 
	pesci estremamente selettivi ha affinato la loro abilità al morsetto. Sono 
	tutti ottimi costruttori ma ciascuno però interpreta la Rhenana a modo suo 
	confermandomi ciò che già intuivo: catturare durante un’intensa schiusa è un 
	evento quasi casuale. Al tavolo con noi c’è anche un personaggio 
	straordinario, Lino Pontrandolfo, decano della pesca a mosca Lucana che con 
	i suoi 74 anni mi dimostra un’invidiabile precisione al morsetto ed un 
	entusiasmo da ragazzino. 
	 
 Ripongo queste belle imitazioni che mi regalano nelle mie 
	scatole, do una sbirciatina nelle scatole degli altri (ci sono tante sedge) 
	e poi si torna a pesca. 
	 Guardando nelle scatole di un 
	pescatore locale ci si può già fare in anticipo un’idea del pasto principale 
	ma quando scende la sera mi ritrovo parte di uno spettacolo inatteso. Le 
	sedge sciamano tanto fitte da togliermi il respiro. Il correttore di Word mi 
	dice “termine di paragone logoro ed abusato”, si lo so, ha 
	ragione, ma è proprio questa la sensazione: non è colpa mia! 
	 Ora riesco a valutare correttamente 
	la popolazione presente. 
	Il pesce è veramente tanto ma tranne qualche 
	“vecchia” la stragrande maggioranza è frutto di questa nuova gestione e 
	quindi la taglia è modesta. Le trote prendono chiaramente piccole effimere 
	verdine. Faccio un rapido ripasso mentale delle mie scatole: ce le ho, sono 
	assieme alle mosche da temolo, ma ormai…. ho montato una sedge e non la 
	cambio perché il solo sapere di averla, il sapere di poter passare alla 
	mosca giusta appena voglio, mi da il diritto di continuare a pescare 
	deliberatamente con la mosca sbagliata e continuare a catturare. A volte 
	“Serenità e Convinzione” battono “Mosca Esatta”… e beh, sì, anche tutte 
	quelle sedge per aria vorranno pur dir qualcosa! 
	 Bene, a queste sedge, che in ordine casuale emergono, 
	schiudono e depongono, alle costanti e sempre presenti effimere uniteci fra 
	qualche giorno le imponenti schiuse notturne di O. Rhenana e capirete perché 
	i fiumi del sud riescono ad ospitare pesci grossi ma soprattutto perché 
	catturarli sia tutt’altro che semplice. A buio fatto, un buio che per me di 
	solito segna il fine giornata, Nunzio ed Antonio, mi fanno notare che 
	qualcosa è già cominciato. Sono le prime della stagione, formano un denso 
	sciame, scelgono un tratto torrentizio e salgono e scendono la corrente. Le 
	Rhenane sono le effimere in assoluto, vivono pochissimo, non abbandonano mai 
	l’acqua e dopo questa breve danza nuziale, a notte cadono in acqua come 
	spent. Le grosse trote, che lo sanno, aspettano questa manna notturna e 
	sperare che fra tutti quei naturali, lanciando ormai alla cieca solo sul 
	rumore della bollata, la trota prenda proprio la vostra richiede un 
	inguaribile ottimismo. Ma succede. A volte succede. 
	 
 
 
	  Tanagro 
	– Per pescare il Sele grande ed il Tanagro occorre la tessera FIPS. Il 
	Tanagro a monte di Contursi e ancor più nei pressi di Sicignano ha la 
	conformazione perfetta per la pesca a mosca. La popolazione ittica 
	attualmente è modesta ma gli irriducibili amici campani sono già in lotta 
	per ottenerne un tratto in concessione, e quello cui stanno mirando è 
	splendido. Immersi in queste ampie piane o nei suoi lunghi ghiaieti non è 
	difficile immaginarsi di intravedere, da un momento all’altro, le rapide 
	salite di un temolo! 
 
	 
	 
	  Basilicata 
	– 
	“…in un posto dove una trota molto grossa mi ha spezzato l’amo, ho avuto una 
	grandissima avventura di pesca. Mi avvicino con circospezione e nel punto 
	dov’era l’anno scorso anche quest’anno trovo un pescione (forse lo stesso).
	  
	Ninfa stando sul fondo. Retrocedo tra le piante per stare in posizione 
	di sicurezza, alzo gli occhi, e non c’è più!  Sto fermo e lo individuo che 
	scende la corrente con la testa a monte, e si ferma proprio davanti a me! 
	Sto immobile, se mi muovo mi vede sicuramente. E’ attaccato alla riva, muove 
	la testa a destra e sinistra prendendo ninfe. Passano i minuti, dopo una 
	decina o più in cui sto immobile, fa tre o quattro bollate a galla, infatti 
	è iniziata una discreta schiusa. Non resisto e studio la situazione, con 
	movimenti da bradipo mi sposto piano piano dietro un tronco, mi accovaccio e 
	vado qualche metro a valle per provare a lanciare sul pesce, benché sia in 
	posizione infame. Alzo gli occhi…. Sparito di nuovo!!!! Vado avanti come un 
	marines, è ancora a un metro da riva una decina di metri a monte. Monto il 
	guadino, una secca (mi vanto un po’, di mia costruzione…) un lancio 
	discreto, poi uno perfetto e sale.  Lotta mostruosa, è proprio un pesce fortissimo 
	ed instancabile.
	
	
	Devo scendere a valle, passandomi la canna da un braccio all’atro per 
	superare gli alberi sulla riva. Dopo tantissimo il pesce è a guadino, ma non 
	ci entra, troppo grosso. Alla fine non so come entra. Guardo l’orologio, da 
	quando l’ho avvistato, ferrato e portato a riva è passata un’ora e un 
	quarto. Il pesce è sui 70- 
	Nuota ancora libero, ovviamente. Io, morto, sono andato subito a casa…… Una delle catture più faticose della mia 
	carriera”. 
	In 
	Basilicata mi aspetta Eugenio, geologo, collega e compagno di pesca che da 
	qualche settimana mi pastura con messaggi come questo e con foto vaghe e 
	sfocate. Potrebbero anche essere carpe… 
	 Il paesaggio lucano è caratterizzato da affioramenti di 
	argille, massicci calcarei e da morbide colline coltivate a generatori 
	eolici e grano. Le argille salate generano quei paesaggi brulli, calancosi e 
	desolati che a loro tempo hanno fatto da scenario a gran parte degli 
	Spaghetti Western di Sergio Leone. Essendo terreni impermeabili riversano 
	l’acqua meteorica in fiumare stagionali di scarso interesse alla pesca. 
	 
	 I massicci calcarei fortemente fratturati celano invece 
	due tesori. In profondità la roccia è permeata d’idrocarburi e negli anni 
	’80 ENI vi ha individuato il più grande giacimento petrolifero italiano. 
	Ostruzione politiche ed ambientaliste stanno rallentando enormemente lo 
	sfruttamento di questa risorsa indispensabile. Stranamente a nessuno piace 
	il petrolio ma tutti amano andare in giro in macchina. Due - tremila metri 
	più in alto le stesse rocce assorbono, immagazzino e rilasciano un altro 
	prezioso elemento: acqua. Acqua pura e freddissima che fluisce gradualmente 
	in torrenti, e poi in fiumi, popolati di fario autoctone. Due risorse 
	preziose ed indispensabili purché non vengano mai in contatto tra di loro. 
	Eugenio è qui per questo progetto. Di giorno studia le mappe geologiche per 
	individuare l’oro nero, la sera le cartine geografiche alla ricerca d’acqua 
	fredda e trote. Dopo un’intera stagione di pesca trascorsa quaggiù ha avuto 
	modo di esplorare parte della regione e trovare torrenti ancora selvaggi, 
	poco battuti e discretamente popolati di fario.  
	 
	 
	 La zona più interessante è sicuramente quella occidentale 
	dove le argille lasciano sempre più spazio ai massicci calcarei. I bacini 
	del Sinni, del Noce e più a sud il Lao, con i loro affluenti sono i più 
	promettenti. Il Noce ed il Lao, anche se quest’ultimo scorre in gran parte 
	già in Calabria, sono anche molto vicini a rinomate località balneari 
	rendendo possibile abbinare spiaggia per la famiglia a qualche pomeriggio di 
	pesca. 
	 I miei “soliti posti”, anzi, i “nostri soliti posti”, a meno che voi non possediate una riserva esclusiva di pesca, li possiamo dividere in tre tipologie base: acque libere con trote piccole, tratti in concessione con trote quasi sempre di vasca, zone NK con pesce grosso ma non proprio selvatico. Pescare questi torrenti e catturare in acque completamente libere e relativamente comode, pesci selvatici anche oltre i trenta cm mi ha stupito. La pressione piscatoria non è altissima ma i locali trattengono senza esitazione tutto il pescato. Si ha comunque l’impressione che non si diano la pena di dover per forza prendere tutti i pesci del fiume, come capita in molte altre parti d’Italia. Oltre che per passione pare approccino il fiume valutando il bilancio energetico: tempo e sforzo deve corrispondere a proteine da mettere a tavola. Non si spostano fuori dalla loro zona e non si danno pena di camminare ore per prendere due trote, inoltre il sole del sud sembra dar forza solo a vegetazione spinosa ed urticante stringendo i corsi d’acqua in una morsa intricata ed inospitale. I locali se possono evitano queste rive infestate di ortiche, cardi, rovi, robinie… Vi viene in mente un’altra pianta con le spine? Beh, c’è di sicuro! 
	 E vipere, ne ho viste più in tre giorni che negli ultimi 
	dieci anni. Posti pericolosi per le mani e mortali per i nostri amatissimi waders. Posti che però celano qualche raro bel pesce. Beh, non enormi come 
	promesso ma si sa, il pescatore onesto, come dice Eugenio, è quello che 
	applica la regola del 30%: peso, lunghezza e durata del combattimento 
	possono essere maggiorati fino a questa percentuale ma mai oltre. 
	 Negli ultimi anni ho girato in lungo e largo le acque 
	dell’ex - Yugoslavia alla ricerca di pesce vero, ho trovato posti stupendi, 
	acqua meravigliosa, insetti enormi, ma di pesci selvatici ne ho trovati più 
	da queste parti. 
	 
	 
	 
	 
	 
	  Epilogo 
	– Le ferie di pesca sono ferie assolute: si stacca dal lavoro, dalla 
	famiglia e dalle abitudini quotidiane. In questo viaggio ho avuto 
	l’occasione di visitare posti nuovi, ritrovare posti noti, imparare un paio 
	di lezioni ed incontrare persone deliziose che mi hanno condotto per mano 
	alla scoperta del territorio. Come avrete notato, tranne le riserve, sono 
	stato un po’ vago nel descrivere le zone di pesca. Non è colpa mia, gli 
	amici locali mi hanno chiesto di lasciare degli spazi vuoti tra le righe, 
	del resto è più stimolante una vaga possibilità di una ragionevole certezza. 
	 Ho avuto anche la fortuna, anzi, 
	Fortuna voglio scriverlo con la lettera maiuscola, di superare il mio record 
	personale: una fario selvatica, presa a secca in acque libere, di  
	 
	 
	 
	 
	 
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