Mistero & Possibilità
Marco
Sportelli
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Cosa ci spinge lungo i fiumi, cosa ci affascina e induce verso sempre nuovi luoghi ed esperienze? E’ il mistero, quel qualcosa di non svelato che si cela nell’acqua, nei suoi abitanti, nell’inevitabile volubilità della natura. Quel qualcosa nell’anima che alimenta la nostra passione, che ci mette in viaggio. Il viaggio - Mi piace pianificare con attenzione l’itinerario di pesca, cerco contatti, report, stampo le mappe, ma è sempre l’inatteso, il cambio di programma, il non pianificato, ciò che rimane al ritorno. L’eccesso d’informazione, Internet con i suoi forum e filmati, hanno rubato molto alla meraviglia, allo stupore della scoperta. Già visto, già sentito. L’odore di stantio, proprio delle cose ripetute, a volte lo percepisco anche in posti mai visti. Bello quando tutto fila a perfezione ma, guardando a ritroso, le esperienze migliori son proprio quelle dove il caso ha deciso per me. Sapere esattamente come sarà toglie parte del piacere. Ecco perché cerco posti dimenticati. Beh, i più sono dimenticati a ragione. ![]() La primavera in ritardo e qualche problema fisico hanno posticipato di molto la mia stagione di pesca. Sono quasi a digiuno, fremo di vedere se fiumi e boschi siano ancora in grado di esercitare su di me la loro particolare magia. Andare in giro è bello ma andare in giro per andare a pesca è grandioso, sia che sia diretto in un fiume particolare, sia in un luogo in generale; sia da solo, sia in compagnia. Dall’acqua mi separa ancora tanta strada, con vecchi amici. Le storie durante il viaggio sono sempre le stesse, ma sempre un po’ diverse. Anche se abbiamo l’abitudine di fare seriamente una cosa che in realtà non prendiamo così sul serio tendiamo spesso a mistificare la realtà. Siamo capaci di prendere un pesce e raccontare che erano dieci, di catturarne dieci e non raccontarlo; prendiamo come riferimento le nostre acque abituali e compariamo tutto a loro; dimentichiamo i fallimenti e immancabilmente aggiungiamo enfasi e un po’ di romanticismo al nostro posto preferito. Ho notato che il peso dei cappotti, ad esempio, varia più in funzione dei posti che della temperatura: se vado a pesca a chilometri “zero”, in acque libere e non bollo, pazienza; se faccio tanti chilometri e spendo tanti Euro di permesso… beh, voglio pungere tutti i pesci del fiume! Storie di pesca, di posti, di pesci presi e persi, notti in tenda, gomme forate, bracconieri, buffi pescatori in divisa, l’isola sul lago, Penelope… Storie già sentite mille volte ma che, come un bimbo con la sua favola preferita, non mi stanco mai d’ascoltare. Improvvisamente, dopo l’ennesima curva, eccoci! In cima a questo valico si può racchiudere con uno sguardo tutta la vallata, con i suoi piccoli borghi arroccati e le fattorie. Nel viaggiatore casuale nasce inconsciamente il desiderio di scendere dalla collina, impaziente di vedere da vicino cosa ha creato la natura in questo pezzo di mondo. In noi si aggiunge un desiderio ancora più impellente. Assorbiamo lo scenario in un'occhiata, siamo abituati a queste valli solcate da fiumi, ma il nostro pensiero corre immediatamente avanti, a cosa si cela in quella striscia lucente che vediamo serpeggiare laggiù.
Al mistero dell’acqua. Il mistero dell’acqua - Il fiume non è particolarmente bello né facile da pescare. Perché con tanti posti belli, comodi e ricchi di pesce, venire fin qua? Non lo so, è un mistero, ma non è colpa mia se è proprio l’irrazionale a riempire i miei sogni invernali. E’ stretto, a volte profondo, bordato da rive coperte di vegetazione, da alberi le cui radici si protendono nell’acqua, da cespugli spinosi che ricoprono sponde profondamente scavate. Ci sono fronde sospese sopra il pelo d’acqua, da cui scendono rampicanti che ondeggiano nel flusso, dietro di cui si appostano pesci selvatici in attesa. Ci sono ortiche e tane, tante tane, sia naturali, sia create dall’uomo. E’ pesca d’attesa, d’osservazione, di ricerca. Si scruta l’acqua e il microcosmo che la circonda. L’acqua mi affascina, da sempre, è infusa di mistero. Da una pozza profonda posso aspettarmi di tutto; un riflesso che vela la superficie può celare meraviglie; una zona in ombra è una promessa, ma anche quando si lascia attraversare dallo sguardo e percepisco nel fondo irregolare, movimenti, bagliori, sagome a cui cerco di dare un nome, nasconde sempre qualcosa d’intrigante. A volte queste visioni lasciano presentire solo una vaga possibilità, altre volte in questo gioco d’ombre, invece, immagino d’intravederci proprio Lei, la regina del fiume, ma è un’immagine della stessa trama irreale di cui son tessuti i miei sogni… Ma perché queste suggestioni, queste intuizioni, queste immagini indefinite mi affascinano molto più delle visioni palesemente chiare? Perché hanno un componente essenziale: il mistero, la possibilità. Può essere tutto. I fiumi che preferisco sono proprio quelli dove tutto può essere, per possibilità. Un capriolo, una lepre, i funghi nel bosco, sono più o meno tutti uguali, i pesci no. Il fascino e la magia della pesca risiede proprio nella loro peculiarità: non smettono mai di crescere. Date cibo e tempo a un fagiano e diventerà vecchio, date cibo e tempo a delle trote e diventeranno quegli enormi mostri acquatici che nuotano nei nostri sogni. ![]() "Mistero & Possibilità" è il grande assioma che ci spinge lungo i fiumi. Possibilità è l’abilità a pesca, basata su intuizioni acquisite negli anni e un po’ di nozioni tecniche. Possibilità è il pesce intravisto, quello mai preso, quello preso ma perso, quello che potrebbe essere. Il mistero è nell’acqua Il mistero è nella nostra passione Il grande mistero è perché si va a pesca.
A pesca -
Più su, a nord, ti riconoscono subito per quello che sei, anche fuori dal fiume. Sanno che sei italiano e ancor più che vai a pesca. Si vede dalla fretta e dalla grinta che hai quando arrivi o dalla calma rilassata di quando te ne vai, e beh, sì, anche dal pessimo abbigliamento. Il capo firmato, in pesca, non fa eleganza. Il pescatore deve essere informale, un po’ bohemien, solo casualmente intonato all’ambiente. Deve indossare indumenti sempre in bilico tra gli stracci della polvere e il raccoglitore della croce rossa, e litigare con la moglie che ce li vorrebbe buttare veramente. Su a nord a volte pesco in posti dove tutti pescano, posti famosi, comodi, ben indicati. Sono sulla bocca di tutti, in rete; ci si viene in pellegrinaggio. Posti che si concedono a tutti. Prostitute cui ogni pescatore a mosca, prima o poi, paga l’obolo. I pesci che vi abitano conoscono l’uomo, sono diffidenti, usati. Non sono particolarmente attratto di pescare dove pescano tutti. Manca il mistero, la scoperta. Anch’io mi sento sempre un po’ usato, indirizzato, sfruttato. Allora meglio l’Appennino, le mie acque di casa. Ci sono posti noti e affollati ma ci sono ancora piccoli spazi dimenticati che tengo tutti per me. Vado quando voglio, dove voglio. C’è libertà e parvenza di mistero, la sensazione di essere l’unico pescatore mai passato da queste parti, la possibilità di incontrare pesci selvatici, mai punti. Mi sorride il cuore. Sono io l’indigeno. Sì, ce ne potrebbe essere una grossa, questa è un’idea sempre presente come sfondo, ma quasi sicuramente no. E’ un misto di esercizio fisico e scenari piacevoli, sono posti tranquilli e solitari, posti che per raggiungerli devi camminare. Con l’incoscienza della giovinezza mi avventuravo
da solo, irresponsabilmente, e li risalivo sempre più in alto, più per
curiosità di vedere com’erano che per la pesca in se. Ora lo faccio un
po’ meno, non perché sia diventato più saggio ma perché li ho già
risaliti e so come sono. Ma ancora ci vado, altrimenti divento vecchio,
e credetemi, si può diventare vecchi anche senza diventare saggi. Un
altro motivo per cui frequento questi posti è per ridare il giusto
valore alle cose. Siamo abituati a considerare vita e morte come
qualcosa di triste o miracoloso, ma chi sta un po’ di tempo quassù, dove
ci sono ancora prede e predatori, si rende conto che sono il quotidiano,
fanno parte della natura e non ce ne dobbiamo stupire né rattristare. ![]() Il locale apre la bolognese. Guardando i pescatori a spinning e soprattutto quelli con il verme lo facciamo un po’ dall’alto al basso. Ammettiamolo, siamo un po’ snob, e lo siamo perché commettiamo un errore di fondo: pensiamo che facendo qualcosa di eccellente qualità, come la pesca a mosca, siamo egualmente eccellenti. Ma spesso questo è tutt’altro che vero. Soprattutto oggi. E’ senza stivali. Questa piana gli spetta di diritto. Vado verso monte in posti che conosco. Mi muovo lentamente, osservo, scruto. L’acqua mi accoglie, la fitta vegetazione mi avvolge, mi abbraccia, m’ingloba. Il mio io si stempera e fonde gradualmente con l’ambiente. I pesci, gli insetti, le bollate, mi appartengono, e io a loro. Sono una mia estensione. Ne faccio parte. Lavoro, amici, famiglia… tutto andato. Esisto solo io e ciò che mi circonda. La pesca in queste zone è buona, cioè, buona quando le condizioni sono ottime. Il pesce però esce esclusivamente in certi orari, molto spesso il fiume sembra sterile e l’attesa è frustrante, ma quando il sole scende oltre le colline e i pesci iniziano a bollare ti senti rafforzato, capisci di aver fatto la scelta giusta: “Ok, io ci sono. Gli amici anche. Cominciamo!”
Gli amici - Ho portato degli amici e quando porto qualcuno in un posto nuovo spero sempre prenda dei bei pesci, magari non enormi come i miei ma abbastanza da fargli luccicare gli occhi. Adoro pescare da solo però il dopo pesca lo preferisco in compagnia. Pescando assieme ci si conosce ma serve un viaggio di più giorni per essere costretti a scoprire le carte. Brutto tempo, pesca scarsa, spazi ristretti, alzarsi presto, rientrare tardi, rompono i rapporti o li consolidano per sempre. Presuntuosi e prime donne hanno vita breve. Meglio i soliti compagni: non saranno perfetti ma
sappiamo già cosa aspettarci e loro cosa si aspettano da noi. Meglio
muoversi in due, massimo tre persone, si riduce di molto la possibilità
di dover rientrare anticipatamente per un problema di lavoro o famiglia.
Già, la famiglia. Ho appurato che la soddisfazione in pesca è
direttamente proporzionale alla distanza che ci separa e, dopo qualche
esperimento iniziale, ho tracciato una linea netta tra le due cose, con
reciproco piacere. Ho addirittura imparato, in vacanza con loro, a
ignorare i miei istinti. Guardo i fiumi come le donne, con la coda
dell’occhio. Attraversare
Anche mio padre andava a pesca con gli amici, e a volte mi portava con se. Nel mio immaginario infantile andava a pesca lontano e per molto tempo, in realtà si spostava quel tanto che permetteva una cinquecento e una minima attrezzatura da campo, e mai più di qualche giorno. Io ci percepivo, avventura e mistero, comunque. Sono un pescatore più itinerante e accanito di lui ma solo perché ho più tempo, meno figli e ora è più facile farlo. Poi gli impegni, la famiglia e sì, forse la monotonia per uno sport di cui aveva visto tempi migliori, lo hanno progressivamente allontanato. L’avventura è essere i primi, scoprire, sperimentare, andare in un luogo a far cose che i locali non fanno, e a quei tempi era possibile anche relativamente vicino a casa. ![]() Pa’ se ne è andato troppo presto, mi sarebbe piaciuto mostrargli foto di posti nuovi, più impegnativi e remoti di quelli cui era abituato. O forse no... In questo mondo troppo piccolo, dove la sensazione è sempre quella di essere arrivati tardi, di ripetere cose già fatte da altri, i miei occhi avrebbero tradito la meraviglia fittizia delle foto. Bello però un figlio che segue le tue orme, ci ho provato ma i miei sono immuni. Al grande “perché” della nostra malattia non solo è difficile dare risposta univoca ma non conosciamo né antidoto, ne sistema di contagio. Sappiamo solo che “ci piace quello che ci piace non perché vogliamo che ci piaccia ma perché qualcosa risponde in noi naturalmente a quello stimolo”. Scende il crepuscolo, il crepuscolo di una primavera serena, un crepuscolo che odora di teneri germogli, di salici bagnati, di silenzio cristallino, di vento lontano. Momenti in cui posso sentire solo fruscio di foglie, scorrere di acqua e il mio lieve respiro. Assieme al crepuscolo scendono anche le prime effimere, e la magia si ripete: a ogni insetto che passa la superficie dell’acqua si apre, come le porte del supermercato davanti al carrello. Uno spettacolo visto tante volte ma che non mi stanca mai. Lo attendo come un fanciullo il Natale, ogni volta con rinnovata meraviglia, e sono impaziente, come un bimbo con il suo regalo, di scoprire cosa cela la carta luccicante, cosa c’è sotto il riflesso dell’acqua, quale essere la modella delicatamente in cerchi perfetti. La prima trota dopo una strenue difesa è al guadino. Bella, perfetta, come tutti i pesci che vivono qui. Per un lungo istante mi sento felice. Capita anche a pesca a volte di sentirsi felici. Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo e passa.
E’ forse per questi brevi momenti che pesco? La nostra passione, il nostro perdere tempo verso il futile, è per definizione qualcosa d’irrazionale, non c’è una logica in quello che facciamo e grazie a questo ci è concesso di estremizzare, di eccedere, di essere maniaci senza essere patologici. Quante volte ad esempio ci è capitato di attraversare un fiume impetuoso rischiando di essere travolti, o passare intere giornate al freddo o sotto la pioggia solo perché qualche stupido pesce continuava a bollare? Se qualcuno, ogni tanto, guardandoci o ascoltandoci non se ne va scuotendo la testa probabilmente non siamo dei veri pescatori a mosca. Passioni, desideri, sogni, sono proprio loro ciò che usa il destino per tessere la trama delle nostre esistenze. Nella mia c’era l’acqua. Fin da piccolo la cercavo, la scrutavo, volevo sapere cosa nascondeva, quanti pesci c’erano in ogni pozza, volevo lusingare mio padre. Volevo la sorpresa dell’essere argenteo che fuoriusciva dall’acqua. Ora pesco per prendermi un po' di tempo fuori dal tempo, fuori da questo vivere sempre più stressante a caotico. Per essere giocosamente irresponsabile. O forse, semplicemente, per rivivere la meraviglia e la dolcezza di quei giorni andati.
Mentre è innegabile che siamo alla ricerca di pesci sempre più grossi e numerosi, non dobbiamo dimenticarci che lo facciamo attraverso un’assonanza d’esperienze fini a se stesse. I pesci che insidiamo vivono in posti meravigliosi e il mondo del pescatore non finisce al limite dell’acqua. Possiamo gustarci il profumo di fiori selvatici, osservare un volo d'anatra, controllare il lavoro di un merlo acquaiolo. La pesca diventa il mezzo non il fine, “amo” essa stessa per “prede” più grandi e importanti delle trote cui pensiamo di essere dietro. Un giorno sul fiume è speciale. E' un’esperienza da tener cara, a prescindere dalle catture. Torniamo a mani vuote ma con il cuore pieno. “Pa’, quanti ne hai presi?” “Nessuno, ma ti voglio bene”. Contiene immagini, sensazioni, momenti di attesa, di noia, d’azione, d’eccitazione… d’amicizia. Qualche altra cattura, sfrutto l’ultima idea di luce con una parachute molto visibile, e torno all’auto.
E’ buio e qualcuno ancora manca. Eugenio è terrorizzato dai cani. In lontananza si sentono ripetuti latrati e urla concitate. Eccolo arrivare. “Avete sentito che roba!!!” - “Ce l’aveva con te?” - “Sì, begli amici, potevate venirmi incontro…” – “Beh, è notte, pensavamo ti avesse sbranato e avevamo già cominciato a dividerci la tua attrezzatura…” La notte - Dopo cena esco per un sigaro. Il cielo è pieno di piccoli buchi luminosi. Pessimo segno. Siamo venuti per le schiuse di olive, quelle che danno un senso anche al pomeriggio, e speravamo in un calo di pressione, nuvole basse e un miserissimo tempo umido, perché sono le condizioni ideali per gli insetti e le stesse che fanno uscire i pesci dalle tane ma, vedo stelle ovunque. ![]()
…sole, caldissimo, immerso fino alla vita guardo gli alberi perdere le
foglie, enormi serpenti fendono l’acqua calda, mi si avvicinano sempre
più, gambe molli, sudori freddi lungo la schiena… Anno dopo anno la canna si allungò, gli si aggiunse un mulinello e infine “agli ami crebbero le piume”, ma i cavedani erano ancora lì, accomodanti e numerosi per risollevarmi il morale dalle prime frustranti giornate di pesca alla trota. Ora li pesco molto meno, ma ancora lo faccio perché, oltre a riportarmi con il pensiero al mondo felice dell’infanzia, sono stati, e tuttora sono, un buon maestro. Il rumore della pioggia e il timore per i livelli del fiume non mi fanno riaddormentare. Mmm… però devo esserci riuscito, perché stamattina mi sono risvegliato. La stretta strada che conduce alla zona prescelta passa su un ponte di ferro sospeso a pochi metri dall’acqua e al cartello di località. Nonostante il nome evocativo sono poche le macchine che rallentano, rare quelle che si fermano a guardar giù, nessuna parcheggiata nei pressi. E’ tutto per noi. Abbasso lo sguardo a pelo d’acqua. Al far del giorno capita spesso di incappare in un drift di spent. In questo stadio le effimere mi fanno impazzire, sono terribilmente difficili da individuare così basse sull’acqua ma, tutto sommato, le capisco: anche a me, dopo una notte di sesso, la mattina mi trovereste steso a pelle di leopardo. Nulla. Il temporale notturno oltre ai colori deve aver lavato via dai cespugli anche gli insetti. C’è tempo per guardare, scrutare. Tempo per attendere. Cerco qualche sagoma nell’acqua, un pesce in sporadica attività o la schiusa, grande mistero della pesca a mosca. Perché non c’è la schiusa? O piuttosto, cosa spinge tutti quegli insetti, ciascuno sotto il proprio sasso, a fuoriuscire con così estrema sincronia? Sicuramente è una strategia evolutiva, di mille insetti che fuoriescono contemporaneamente pesci e uccelli riusciranno a predarne solo una parte, ma la domanda è: quale messaggio circola a fondo fiume, come si genera questo timing perfetto? Dai confronti con i compagni di pesca risulta che l’emergenza a volte è uniforme ma più spesso avviene una piana sì, una no, a orari e con intensità differenti. A volte si ripete per giorni, Raggiungo una piana, in testa un salto d’acqua, davanti due pioppi enormi, a valle un salice caduto in acqua continua a vivere con tanti getti verticali. Ci sono molte tane qui, non tutte naturali, l’uomo in passato ci ha messo mano ma il fiume si è preso le sue rivincite. Non sempre riusciamo ad addomesticare la natura: ci spiazza per ignoranza, più spesso per malafede. Sento il rumore di una grossa bollata alle mie spalle. Mi giro. Potrebbe essere un’anatra, o una nutria, l’evidenza, l’unica traccia, sono le ondine residue che svaniscono lasciando sull’acqua solo il mio dubbio. Attendo. “…plup…”. Eccola. Bellissima. Molto più lentamente, intenzionalmente, bolla di nuovo. In una giornata di pesca ci sono ricordi buoni, pessimi e in mezzo molti spazi vuoti che svaniscono velocemente dalla nostra labile memoria. Ora il ritmo cardiaco accelera leggermente lasciando indietro grigio e noia.
La trota è a valle, a pelo d’acqua, dal mio lato, e io non posso spostarmi. Non ho scelta e non mi piace, ma posso tentarla solo a scendere. “…plup…”. Posa morbida, un po’ a monte, lascio uscire l’ultima spira dall’apicale e seguo la discesa con la canna. “…plup…”. Manca poco. Protendo tutto me stesso verso valle. Trattengo il respiro. Ancora qualche centimetro. La trota scarta da un lato, la mosca trascinata dal finale dall’altro. Troppo corto. Il bello della pesca è che è fatta di tanti piccolissimi problemi, ma che assieme richiedono la nostra totale concentrazione. “…plup…”. Riprovo. Un falso lancio, due e al terzo la canna si piega violentemente, ma come tutte le volte che aggancio qualcosa di enorme non è mai un essere selettivo o famoso per salti acrobatici. Capita anche a voi? E’ sempre all’ultimo falso lancio che la mosca si impiglia alle spalle! Spero vada meglio nel pomeriggio. Pomeriggio – Certe cose sono un mistero, altre quasi una certezza. Se Eugenio, dopo due anni in zona, mi dice che alle 16.30 le trote escono a caccia di piccole mosche amo 16, corpo giallo, ali in capriolo (che strani insetti!), il mistero della pesca a mosca è quasi risolto. Questa volta, con l’intento palese di fotografare un bel pesce, peschiamo assieme. Optiamo per la piana di Penelope. Una scelta nostalgica perché lei non c’è più, con i suoi 5 chili e passa è finita sul giornale. L’abbiamo punta entrambi nella speranza di farla furba ma è servito a poco. Abituata a passare dal guadino all’acqua quando l’hanno messa in padella ci deve essere rimasta molto male. Era un pesce facile? Non so, non esistono trote facili o difficili ma solo pesci che riusciamo a prendere o no. Abbiamo la tendenza a credere che i pesci più grossi siano quelli che bollano nei posti più difficili, che a volte è vero, ma molto spesso no, e guardando la bollata a filo dell’altra sponda non riusciamo a vedere e spaventiamo i bei pesci che sono nell’acqua bassa davanti a noi. La sua salvezza era proprio quella, stava dove chiunque avrebbe messo i piedi.
Nell’attesa che qualcosa si muova disquisiamo su ami, filo e nodi. Propongo a Eugenio di provare il mio sistema: filo robusto con mosca già legata e il tutto testato in precedenza (L’Attesa – FL 06-2013) “Ma… mi sembra eccessivo!” “Provalo lo stesso!” Ecco le prime effimere, falangi in marcia verso il loro ineluttabile destino. Questi insetti che entrano per un attimo nel nostro gioco sono per noi quello che noi siamo per il fiume: un’insignificante effimera presenza. Calchiamo le sue sponde pensando di possederlo, ma lui è qui da prima di noi e, indifferente al nostro passaggio, ci resterà per sempre. Questa volta, però, quella bella bolla proprio là, sull’altra sponda, in un posto infame, dietro a un cespuglio, e con il riflesso negli occhi. Per fortuna è il suo turno… Lanciamo molto a sentimento in queste occasioni ma
istintivamente realizziamo quando la presentazione è quella giusta. Una
testa fende l’acqua e la lenza è in tiro. La canna si abbassa parallela
all’acqua, il pesce, bloccato, salta a un pelo dal cespuglio
semi-sommerso e torna nel profondo della buca. Il più è fatto.
“Ehi, senza ‘sto finale l’avrei persa!" ![]()
Mi limito a un
inevitabile “te-l’avevo-detto”. Se il pesce sapesse che filo e amo
servono per catturarlo noi non ne prenderemmo neanche uno. Probabilmente
vede entrambi ma non li percepisce come pericolo, i pesci reagiscono per
istinto e, come noi del resto, sono più portati a percepire le
somiglianze che le differenze. Il filo da pesca in sé non somiglia a
nulla che nel suo DNA sia codificato "da temere" e quindi lo ignora.
Quello che percepisce è un'estremità da un lato, l'amo, e dall'altro, il
filo, che alterano la silhouette del nostro artificiale. Ecco perché non
bisogna esagerare. L'altro effetto deleterio causato dal filo è il
movimento innaturale che induce alla nostra imitazione, direttamente
proporzionale al suo diametro e alla sua rigidità. Di conseguenza quello
che serve a noi è, a parità di carico di rottura, il filo più morbido
disponibile. Dopo ami aperti e molte rotture ho lavorato sul sistema
filo-amo-nodi, eliminando molti punti deboli. I risultati, in effetti,
in questi ambienti angusti sono sorprendenti, mi rimane da lavorare
sulle canne: in un pomeriggio sono riuscito a romperne due! E guadinare
una trota di qualche chilo con mezza canna in bocca è tutt’altro che
facile…
La trota arriva finalmente al guadino. L’eternità esiste solo come pienezza d’esperienza. Continuiamo a vivere nella speranza di fare esperienze migliori delle precedenti, quindi, nel momento che viviamo un sentimento o un'emozione in maniera piena e assoluta, ci siamo vicini. Eugenio è felice come un adolescente alla prima cotta: un pesce meraviglioso, selvatico, preso a secca, in un posto difficile e con un pubblico alle spalle… cosa si può chiedere i più? Assieme alla foto colgo un attimo d’infinito. Anch’io un giorno vorrei diventare giovane abbastanza da provare il suo piacere e abbastanza saggio da prendere una trota veramente difficile. Di cui scrivere.
Scrivere - Nel viaggio di ritorno l’eccitazione lascia sempre spazio a una leggera malinconia. Gli sguardi sono un po’ spenti, assenti, appagati. Ciascuno rivive nell’intimo le emozioni appena provate, rielabora le esperienze. Aggiunge storie alle storie. Più avanti anch’io scriverò qualcosa, ma non subito. Mi piace prendermi un po’ di tempo, lasciare che i ricordi del viaggio sedimentino per poi verificare quali parti tornino a galla da sole. Scrivere è scrivere, a prescindere dal soggetto, e se lo desideri puoi aprire l’anima e disquisire su ciò che vuoi. Mi sorprendo spesso a scrivere su me stesso, dovrei essere più impersonale, generalizzare, trasformare i miei pensieri in pensieri comuni, ma scriviamo perché amiamo lasciare traccia di noi, qualcosa che ci sopravviva… Ora però sto tornando a casa dai miei cuccioli, il mio messaggio nella bottiglia, il mio vero link con il futuro. |