Libellule e Black Bass

 

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

 

 

Abitando lontano da qualunque buon fiume da trote inseguire la mia passione l’ho sempre associato a lunghi spostamenti, file in autostrada, soste al distributore, Autovelox. Sul saldo della mia patente a punti ci sono più movimenti che sul conto corrente. Da qualche anno però ho un’alternativa di pesca a chilometri zero. Non è vicina a casa. E’ vicina al lavoro.

Molto meglio!

Nei primi anni di pesca a mosca mi sono dedicato spesso ai persici trota. Assieme agli ubiquitari cavedani sollevavano il mio morale dalle frustranti esperienze con le trote e le mie modeste finanze dalle dispendiose gite fuoriporta. A quei tempi tentarli con il popper era molto efficace. Pochi in zona praticavano la pesca a mosca e quasi nessuno perdeva tempo con i boccaloni, avevo quindi la fortuna di offrir loro un’insidia sconosciuta. Il primo anno l’aggredivano senza esitazione, il secondo diventavano diffidenti, il terzo imprendibili. Sono sempre incappato in questa rapida curva d’apprendimento ma allora, con sempre nuovi ambienti a disposizione, la soluzione era semplice: cambiare posto. Finite le nuove acque da esplorare, finita la passione per i bass. In effetti non diventavano impossibili, per prenderli dovevo pescare sotto, ma pescare sotto non prendeva me. Meglio abbandonare

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Ho ricominciato. La possibilità di farlo nei ritagli di tempo e la particolarità dell’ambiente che ora frequento mi hanno fatto ricadere in amore con questi simpatici predatori. 

Il persico trota nel secolo corso si è diffuso in maniera capillare in tutte le acque lente di pianura, aiutato da pescatori consapevoli di come l’immissione in acque vergini, tante prede-nessun predatore, corrispondesse sempre a una sua rapida esplosione demografica. Poi prede e predatori si equilibravano ma qualche ottima stagione era garantita. Praticare la pesca a mosca in questi ambienti però non sempre è facile: le sponde dei canali o dei bacini idrici sono spesso bordate di vegetazione, l’accesso in acqua è solo occasionale e la pesca in belly boat, in regione, è regolamentata in maniera molto restrittiva. Questo posto invece, oltre che a Km 0, è differente, sembra fatto apposta per me.

Abituato alle valli boscose dei fiumi da trote, percorrere con i wader questo stradello tra colza e trifoglio, con lontano, sullo sfondo, le gru del porto e il petrolchimico, mi fa sentire un po’ stupido, ma poi, come Alice, penetro lo stretto varco di vegetazione e sbuco in questo luogo inatteso. Non ci sarà il Bianconiglio ma il contrasto con quello che ho lasciato alle spalle è lampante. Un arcipelago al contrario, dove il liquido ha preso il posto della terra: isole d’acqua, serene e oziose, contrapposte al mondo frenetico, caotico e operoso che le circonda.

L’ambiente - I laghetti in realtà sembrano dei chiari, ampie superfici allagate a scopo venatorio con la funzione di attirare uccelli acquatici di passaggio. Con il tempo sono stati abbandonati a loro stessi. Un ampio e disordinato sipario di pioppi e acacie li cela e separa dal mondo esterno, una discreta camminata tiene lontano curiosi e pescatori sedentari, ma soprattutto il fondale sabbioso e uniforme è completamente accessibile in wader: ci si muove come su una flat caraibica. Ettari d’acqua limpida, bordati da bassi canneti e invasi da una compatta vegetazione sommersa che garantisce riparo ai pesci e impedisce di spopolarli.

La presenza di pesce foraggio è minimale, ci sono solo tartarughe, boccaloni, carpe di taglia media, qualche persico sole e beh, sì, anche un superpredatore: un essere di un metro e mezzo con i baffi che finora si è fatto beffa dei mei illegalissimi tentativi di rimuoverlo.

Sono posti che sento un poco miei, raccolgo qua e là qualche cartaccia, metto in acqua ripari dai cormorani, ho addirittura piantato le ninfee. Posti che spartisco solo con rari pescatori a spinning: il basso livello dell’acqua, l’eccessiva vegetazione sommersa e la taglia modesta dei pesci li rende poco appetibili anche a loro.

E frequentandoli abitualmente ho imparato cose che il farlo occasionalmente, come campita in fiumi da trote che visito solo poche volte l’anno, non mi avrebbe mai permesso.

 

Centro giornata - I bass li ho sempre insidiati con il popper. Sagomare la balsa, incollarla all’amo e poi colorarla mi diverte. Ogni qualche inverno ne preparo un buon numero, su due taglie e in un unico colore. Gialli, devono essere semplicemente gialli e con una visibilissima parte frontale arancio. A pennello aggiungo un grande paio di occhi e poi c’infilo i classici elastici. E’ più un lavoro di bricolage che di fly tying. Ne ho una scorta sempre pronta a essere ultimata. Li completo a necessità, decidendo se aggiungere hackles, coda, antialga…

Funzionano non c‘è che dire, ma funzionano molto bene anche i moderni Gurgle in foam. I popper sono solo più piacevolmente infantili.

Già agli inizi avevo notato che questi pesci sono attivi di mattino presto, ma si prendono altrettanto bene, ed è più facile esserci, quando il sole scende oltre l’orizzonte. E’ il momento in cui da noi, vicino al mare, la brezza si calma, l’acqua sembra diventar densa, metallica, striata dai morbidi riflessi della luce bassa del tramonto e la quiete è interrotta solo dallo sciabordio dei pesci.

In questi orari mi piace individuarli a vista, fermi nell’acqua bassa, o all’incessante ricerca di qualche possibile preda, ma è bello anche pescare semplicemente l’acqua. Mi piace muovermi lentamente, sondare tutte le possibili postazioni di caccia: un ramo sommerso, un ciuffo di cannette, un gruppo di ninfee; i piccoli canali tra la vegetazione, le rare pozze d’acqua libera tra le erbe acquatiche, e lasciarmi stupire dall’improvvisa esplosione, sempre inattesa, che si genera sotto l’artificiale. A volte basta una frazione di secondo: la coda è ancora in aria e l’esca è già sparita. A volte invece il popper giace basso sull’acqua, a lungo; una corta trazione arriva fin laggiù e un piccolo “pop” rinnova l’invito. Ogni “pop” è più vicino.

Poi l’acqua si gonfia.

Mi piace la serenità, la decisione con cui lo aggrediscono. Si contrappone alla quiete che mi circonda.

Anche qui ho agito a questo modo ma con risultati alterni. Bene in primavera, ma con il proseguire della stagione i pesci diventavano apatici e i resoconti parlavano più di zanzare che di catture. Per accorgermi di cosa avvenisse a centro giornata, in piena estate, in quelle ore di afa opprimente che generalmente manda pesci e pescatori più in cerca d’ombra che di prede, mi è occorso qualche anno. Le libellule, soprattutto grossi Anisotteri rossi che intravedevo posati sulle canne, in realtà utilizzano proprio queste ore per avvicinarsi all’acqua e deporre. Fino a tarda mattina regna la calma poi, con il sole verticale sull’acqua, un paio d’ore di frenesia alimentare anima i chiari. Salti e bollate si susseguono ovunque. La lotta per la vita e la morte è al suo culmine: un essere tenta di perpetrare la specie, l’altro di sopravvivere. Poi, subito dopo, le dragonfly tornano a riva, i pesci si nascondono sotto gli erbai e l’incauto pescatore arrivato tardi potrebbe giurare che è un posto senza vita!

Insomma, con le libellule cambia tutto, da Giugno a Ottobre, con picchi a inizio e fine estate, la dieta alimentare dei bass si sposta a centro giornata e la strategia di pesca si stravolge. Succede come al fiume, con la schiusa: bisogna esserci quando bisogna esserci! E come al fiume, si pesca sulle bollate.

Questo mi fa riflettere sulla mia scarsa efficacia in ambienti poco conosciuti e all’esperienza sempre parziale che faccio anche nei miei posti preferiti. Purtroppo, raffrontandoci con la natura, siamo spesso costretti a semplificare, a seguire schemi generali che ci aiutano, ma nel farlo probabilmente perdiamo tante ottime occasioni. Quello che a noi appare casuale è in realtà il disordine strutturato della natura, governato da regole ferree e inderogabili, a volte evidenti, ma altre, per noi che andiamo di fretta, molto meno.

 Gli Anisotteri – Queste libellule sono facili da imitare: hanno un corpo “molto” rosso, due occhi enormi e quattro ali tenute ben aperte. Ne ho fatto di bellissime, quasi simili all’originale. Facili da lanciare, galleggiano bene, sembrano vere e il pesce… beh, il pesce le ignora!

Perché? Troppo spesso commettiamo l’errore d’imitare gli insetti per come li vediamo e non per come il pesce li preda. E questo anche al fiume. Catturiamo una mosca di maggio, è bianca con uriti ben marcati e ali maculate, a casa prepariamo qualcosa di simile ma in acqua i risultati sono scadenti. Se avessimo prestato più attenzione, avremmo notato che è uno spinner mentre quelle che scendono sull’acqua e sono ghermite dai pesci, le dun, sono giallastre. Poi, forti dell’esperienza precedente, catturiamo una piccola BWO appena involatasi dall’acqua. E’ opaca, smorta, sicuramente una dun. Le ali sono molto parte del suo aspetto e le code evidenti. Cerchiamo nella nostra scatola qualcosa di simile, proviamo a farla passare sul pelo dell’acqua e al massimo collezioniamo qualche rifiuto. La sostituiamo con un’emergente, senza code, con il corpo immerso e ali appena abbozzate e le trote, fino a un attimo prima schizzinose, salgono a ghermirla senza esitazione. Nuovamente, abbiamo guardato con gli occhi dal lato sbagliato del film: tranne casi particolari i pesci preferiscono dedicarsi alle emergenti.

Torniamo alle libellule. Osservo l’originale, è lì, posato sulla canna palustre e sì, è molto simile alla mia imitazione. Poi guardo in acqua e controllo cosa succede veramente. Nessuna libellula si posa in acqua. Volano basse, a volte da sole ma più spesso unite. Senza mai smettere di agitarsi si avvicinano alla pellicola superficiale e con la lunga coda depositano in acqua il loro futuro. Alcuni pesci, che in qualche modo riescono a correggere la diffrazione del liquido, le seguono sotto il pelo dell’acqua e le ghermiscono in volo, ben sopra la superficie. Altri si avventano veloci su quelle che, momentaneamente intrappolate, si agitano per ripartire.

Quelle che toccano l’acqua sono tutte in “tandem”. Per avviare la fase d’accoppiamento, difatti, il maschio, rosso acceso, sorvola le aree adatte, compie il volo nuziale inseguendo la femmina di colore molto più tenue, e con i cerci addominali l’afferra dietro al capo. Così uniti si accoppiano e depongono.

           

L’immagine che il pesce ricerca non è quindi quella che vedo sulle cannette, ma questo assieme unico che si avvicina per un attimo alla superficie e la penetra a fondo. L’immagine che cerca è molto più simile all’imitazione in foam e marabou che vi propongo.

Ma da sola non basta. Se avete tentato questi pesci a vista avrete notato come spesso si avvicinino all’esca e si fermino per un lungo momento a osservarla. Bisogna aggiungergli un po’ di vita.  

Ho avuto la possibilità di testare varie versioni di questo artificiale e stranamente ho notato che quelli completi di zampette sono molto più efficaci. Che cosa imitano queste appendici? Nulla, ma…

Le zampette sono in elastico piatto, per quanto le faccia bene, non sono mai bilanciate e, sollecitate dal lancio, tendono a far ruotate l’artificiale. Questa torsione è trasmessa al nylon robusto che utilizzo come terminale. Una volta in acqua, se non sono ghermite di slancio dal bass di turno, la torsione accumulata riesce a farle girare a scatti, molto lentamente, generando nei pesci in cauto avvicinamento un’attrazione irresistibile. Devono muoversi ma non troppo, il giusto compromesso si ottiene variando di qualche centesimo il diametro del nylon (0,25-0,30 mm) e legandole con un nodo a loop (No slip Knot).

L’imitazione così concepita è il risultato di un caso e il processo mentale che ne giustifica l’efficacia deriva dall’aver scoperto che funziona senza sapere perché. Che è poi ciò che accade con molte ninfe o mosche secche: funzionano? Sì. A cosa somigliano? Boh!

Mi piace pescare il persico trota in questo modo. L’azione è molto visiva, si pesca sul pesce, sulle bollate o semplicemente lanciando sotto gli insetti in volo: molto spesso c’è già un predatore pronto a intercettarli. Altre volte il riflesso maschera la visuale ma la scia che forma il pesce avvicinandosi all'imitazione mi carica d’aspettative, mi anticipa l’eccitamento dell’azione. Sembra quasi pesca a mosca!

Anche qui, come nei posti che frequentavo tempo fa, anno dopo anno, ma anche solo giorno dopo giorno, imparano. Quelli belli, che sicuramente ho già punto, rifiutano le mie proposte. Ci sono, li vedo, ma anche pose precise li inducono a una breve sbirciatina e niente più: conoscono l’inganno. Quelli piccoli li prendo una volta, poi, prima di riconvincerli, passano mesi. 

Mi piace, a mezzogiorno, affacciarmi alla vetrata dell’ufficio e sapere che poco oltre si è scatenata la caccia al drago rosso, una frenesia alimentare in cui è piacevole incappare. Le ore centrali della giornata sono però un lusso che mi permetto di rado, e va bene così. Il desiderio inappagato di esserci mantiene viva la voglia e, centellinando con parsimonia la loro pesca, evito la noia e di trasformarli definitivamente in esseri imprendibili.

 

Ai margini del giorno - Meglio moderarsi e affrontarli con altre esche anche ai margini del giorno. Il momento migliore e più comodo è verso sera quando il vento si ferma, la superficie dell’acqua diventa cangiante, vellutata, un immenso tavolo da bigliardo punteggiato da occasionali bollate, ma emotivamente preferisco l’alba. Ho abbracciato con entusiasmo la pesca a mosca perché prometteva confortevoli sveglie a metà mattina. Non sempre è così, ma generalmente sì. La pesca alla trota dà il meglio di sé nel tardo pomeriggio, o verso sera. Le sveglie mattiniere sono quindi qualcosa di diverso, hanno un sentore di giovinezza, d’avventura. Le migliori esperienze le facciamo proprio quando usciamo dall’ordinario, dal conosciuto, dal pianificato. Sono quelle che per un attimo ci mettono in contatto con la casualità della natura.

Il buio oltre la finestra, il silenzio in cui è ancora immerso il mondo mi rimandano inevitabilmente, dolcemente, alla mia infanzia, alle uscite di pesca con mio padre, ai suoi frettolosi panini confezionati con prosciutto e odore di sigaretta. Mi ricorda che tuttora questo mi manca, che il difficile non è crescere ma dimenticare. E poi è un tempo rubato. Ore sottratte al sonno, che avrei trascorso a letto. E tutto è un po’ diverso. La strada deserta è la stessa che faccio per andare al lavoro ma sembra più corta: l’essere diretto verso qualcosa che mi appassiona, contrae spazio e tempo. Mi trovo alla barra dello stradello senza ricordarmi d’essere partito. La brezza marina è assente, l’aria immota è carica dell’odore della notte, del fresco dell’erba. E’ strano indossare gli stivali a buio, di solito faccio il contrario.

Le sagome degli alberi ora cominciano a stagliarsi contro l’indaco del cielo. Lontano, molto lontano, sento i primi sbadigli del mondo. Un camion passa sulla statale, una macchina agricola ribalta le stoppie di grano, le prime cicale danno voce ai voli incerti e pesanti d’insetti che spavento avvicinandomi all’acqua. E i pesci sono lì, a poca distanza da riva. Pattugliano la sponda in cerca di facili prede, di esseri incauti, infreddoliti; di residui di vita notturna. Esseri per i quali accoppiarsi e poi morire è necessità inderogabile, o altri che muoiono e basta, e facendolo spesso finisco in acqua. E’ estate, il Walmart della natura è aperto H24, i pesci lo sanno e attendono le prime luci per far provvista.

Si pesca a piede asciutto, la coda sull’erba, l’imitazione a filo di sponda. Si attende. L’acqua è satura di colore, la luce radente galleggia, sfuma e si mischia al velo di nebbia posato su un fluido che sembra denso, viscoso. La muovo appena. Piccole onde portano lontano il richiamo. Per quanto ci sia preparato, la presa è sempre improvvisa, inaspettata, ma di mattina raramente violenta: una piccola depressione che fa semplicemente svanire l’esca dal film. L’acqua esplode solo dopo, quando il pesce percepita la tensione cerca la sua libertà in cielo. La difesa del persico trota è divertente ma mai eccessiva. Pochi attimi e il pesce, fermo ai miei piedi, mi riporta l’inganno.

Come la luce raggiunge la sponda, mi muovo verso il lato opposto dove un fitto pioppeto ritarda l’arrivo del giorno quel tanto che basta a far qualche altra cattura. Poi, il cielo s’illumina, il resto del mondo finisce di svegliarsi, il velo di nebbia svanisce e le sfumature sull’acqua lasciano posto a trasparenze di fondo. La magia dell’alba se ne va portandosi appresso questo “fuori dal tempo” che mi son regalato.

E’ ora di sfilare i wader, indossare abiti decenti e recarmi al lavoro. E’ fine luglio, la spiaggia, il lungomare, i locali estivi, son pieni di vita, di gente spensierata. Gente che tira tardi, che ha voglia di divertirsi.

Se arrivo in ufficio trafelato, la camicia fuori posto, lo sguardo distante, trasognato e un bel sorriso, non mi chiedete: “E’ andata bene ieri sera, eh?!”

Probabilmente sono solo appena tornato da pesca…