Il PaM randagio

Fabrizio Turroni

 

 

Da circa mezz’ora guardavo quel tizio, e posso dire che lo guardavo davvero male. Lui non dava segno di accorgersene e continuava il suo sproloquio a proposito di “terroni al di sotto del Po”. Doveva essere del tipo che si accorge d’aver passato il limite solo quando sente la botta arrivare sui denti.

Qualche amico intorno a lui annuiva, ma aveva un sorriso tirato; probabilmente qualcuno che ammetteva l’esistenza di un mondo esterno al “tavolo di bevute” e che ogni tanto amava sbirciare fuori. Avevo caricato il destro quando in due si alzarono all’unisono, presero il tizio sotto le ascelle e gli  proposero un giretto “giù a Bassano”.

Era il periodo “randagio” delle mie uscite di pesca; mi piaceva così. In dieci minuti decidevo e partivo. Quel sabato pomeriggio mi era venuta “voglia di Brenta”, così caricai il necessario e mi diressi a Cismon, arrivandovi in serata. Presa la camera nel primo posto che trovai rinnovai l’abitudine di scendere per una birra in qualche bar. Così, per “vedere che faccia hanno quelli del posto”.  La faccia di questo tizio aveva un gran naso a patata, qualche capello biondo appiccicato alla crapa secondo uno schema casuale o comunque incomprensibile (mai stato bravo in matematica) e due belle guancione rosse da “fine giornata in Veneto”. Probabilmente a sera si recano al “tavolo di bevute” come un PaM si reca sul fiume per il coup du soir… è il momento topico della giornata.

Risalii in camera, ma non riuscii a restarvi per più di trenta secondi. Sono naturalmente eccitato quando il giorno dopo devo andare a pesca e sono già sul posto; fatico ad addormentarmi. A questo fattore si era aggiunta l’eccitazione del bar. Sapevo che per ore mi sarei rivoltato nel letto senza prendere sonno e la prospettiva non mi attirava. Così i miei neuroni fuori controllo produssero una geniale idea. Allora frequentavo una tipa di Bologna che aveva la non trascurabile caratteristica di farsi trovare sempre pronta. “Frequentavo” è, in effetti, una parola un po’ grossa; diciamo che per curare gli improvvisi scompensi fisici generati dalla deplorevole abitudine che hanno gli ormoni giovanili di manifestarsi tutti assieme, avevo trovato una dottoressa in gamba. La geniale idea era ovviamente di mettersi in macchina e guidare fino a Bologna.

Mi feci curare tutta la notte e poco prima che albeggiasse, l’immagine di temoli e trote nelle limpide acque del Brenta m’indusse a ripartire verso nord. Giunsi a Cismon che era giorno fatto, pagai la camera, usata per far riposare l’attrezzatura da pesca, e mi diressi a fare il permesso di pesca in un bar. Mi pare si chiami “Il cacciatore”.

Dalla confluenza del Cismon con il Brenta, a risalire per qualche chilometro (non chiedetemi quanti, non lo so e questo non è un itinerario di pesca) esiste un tratto trofeo. Qui il Brenta è solo un torrente perché gran parte dell’acqua è deviata alcuni chilometri a monte e reimmessa nel fiume più a valle. C’è di buono che se giù a Bassano trovate acqua alta e fiume impescabile, molto probabilmente qua potete rimediare la giornata.

In ogni caso arrivai sul fiume e mi sedetti tranquillo ad osservare: era uno di quei momenti in cui la luce mattutina, il lieve scrosciare delle acque e la silenziosa maestosità della natura intorno al fiume vi dimostrano che chi ha creato tutto questo la sa molto più lunga di voi.

Non sentii la stanchezza per l’intera durata della pesca, che fu buona, dove per buona s’intende una ventina di trote diciamo tra i venticinque ed i trentacinque centimetri, pescate in solitudine, senza alcuna fretta e con qualche doverosa pausa per godere il paesaggio.

Oggi ho qualche capello in meno e adoro andare a pesca con gli amici (anche se sul fiume preferisco ancora stare un po’ solo), ma sono felice di avere vissuto quel periodo randagio durato un paio d’anni.

Con un solo rimpianto: non aver lasciato alcun ricordo, per quanto confuso, al tizio con le guance rosse.