Il Fosso del Diavolo

(già pubblicato su Flyline)

Marco Sportelli

 

 

  

Si può parlare di pesca, di politica, perfino di calcio e si ottiene, nella migliore delle ipotesi, un’attenzione parziale. Basta spostare la conversazione su sesso e donne e l’attenzione diviene totale: non esiste miglior catalizzatore per vivacizzare una conversazione. A patto che le donne siano reali e possibili. Si può parlare di Salmoni, Tarpon, Taimen e suscitare poco più di un doveroso interesse. Basta nominare sottovoce le trote nere del “Fosso del Diavolo” per veder alzare le teste, girare i colli ed esaurirsi le altre conversazioni. A patto che il “Fosso del Diavolo” e le sue trote esistano!

                23.00 - L’ho individuato prima sulla cartina e poi ci ho curiosato sopra utilizzando le dettagliate immagini aeree che si possono trovare in Internet. Ho sempre amato cercare affluenti isolati e dalle caratteristiche promettenti, ma le informazioni che si possono dedurre da una pur ottima mappa sono nulla a confronto di queste foto in cui è facile identificare persino le singole pozze.

Mi piace guardare il mondo dall’alto, tutto assume un'altra dimensione. Mi sorprendo spesso a curiosare anche in zone familiari: la mia casa da ragazzo, il bosco dove si raccoglieva il muschio a Natale, il fiume che come un nastro argenteo riflette il cielo. Luoghi insignificanti se li sfioro in macchina e che invece scoperti da quassù acquistano una magica dimensione; luoghi della mia vita ma visti con gli occhi di un estraneo.

08.30 - Con il mouse è un attimo risalirlo, a piedi occorre molto di più.

In auto si arriva fino a Borgo Trecase. Una delle tre è un micro bar-alimentari, fresco e perennemente in penombra, molto intimo, di quelli dove hai la tentazione di bussare prima d’entrare. Ma se bussi ti senti un po’ stupido. D’abitudine mi fermo per un caffè ed un panino. Il caffè è imbevibile ma il panino… sarà la suggestione del luogo, sarà l’aria fina, mi sembra più saporito di quello dell’autogrill! Nell’attesa spesso mi sorprendo a pensare che non riuscirei ad abitare in un luogo così isolato. Ma tutto sommato siamo nel terzo millennio, non è un brutto posto per vivere: è un piccolo caratteristico borgo. E’ solo il caffè che è pessimo. E poi… isolato, non affollato… è solo questione di punti di vista!

09.00 - Uno stradello sterrato scende fino alla confluenza con il fiume. In macchina però ci si ferma prima. Quel tanto che basta a non contaminarlo, perché, credetemi, da qui a risalire è rimasto come Dio l'ha creato: solo acqua, roccia e bosco. Non incontrerete case, passerelle, lattine di coca-cola, insomma niente e nessuno a testimoniare che l'uomo esiste. Solo animali del bosco, uccelli rapaci, insetti acquatici e pesci, naturalmente. Pesci voraci, patologicamente stupidi e discretamente piccoli.  

Pochi si dedicano a questi ambienti. Nell’improbabile ricerca dei “piaceri della pesca a mosca” si ammucchiano tutti nei soliti comodi posti, ma state certi che se è il piacere che inseguite, cambierete sport in una settimana.

A pesca ci si và spronati dalla passione che chiede, anzi urla, d’esser soddisfatta. Io ne sono posseduto. Come un demone abita in me, costantemente. A volte si sopisce ma più spesso fatico a tenerla confinata.

La pesca nei piccoli torrenti, poi, non è per tutti, per praticarla occorrono dei requisiti fondamentali: siete dei misantropi, amate le lunghe camminate nel bosco, non avete mai ben capito cos’è un sottovetta, i Tricotteri sono elicotteri a tre pale?

Perfetto! Siete dei nostri!

10.00 -  Il primo tratto, dalla confluenza con il fiume fino alla prima gola, oltre che molto bello, regala ampi spazi di lancio ed un’agevole risalita. L’acqua scendendo verso valle si lascia dietro limpidissime pozze di collirio azzurro ma le trote, rare e sospettose, si fanno desiderare. Più a monte, invece, dove la cattura non giustifica più l’impegno per risalirlo, il torrente si ripopola e lo scenario diventa più selvaggio ed entusiasmante. Spesso l'acqua è poco profonda e scivola via veloce sulla roccia. Ma ogni tanto si ferma. Un grosso macigno ne rallenta la corsa, uno strato di roccia più tenace crea una cascata, un ammasso di tronchi e radici genera una pozza. Ci sono belle trote qui, lo so. Le profonde tane celano promettenti sorprese e stimolano l’immaginazione, ma occorre capitarci nel momento giusto ed in orari che, in posti così fuori mano, raramente corrispondono ai nostri. Per noi è più facile aver successo nei fine buca, in pozze minori o in tutti quei punti dove un sicuro riparo è affiancato ad un flusso obbligato di corrente e quindi di cibo. 

13.15 – Ho fame. Mi siedo ai bordi dell’acqua e scruto tra i sassi le prede e i predatori, anche loro indaffarati nell’esercizio naturale del mangiare senza essere mangiati. Pesci, pescetti, insetti acquatici, poi zoo-plancton, alghe, acqua, il sole e, riflesso nell’acqua, io, che ora mangio un panino ma sono qui a caccia di una trota talmente grossa ed in alto nella piramide alimentare da non temere nessuno oltre me o il bracconiere che abita in zona. Già, il bracconiere. Chissà se a Borgo Trecase ne esiste qualcuno o la scarsità di pesci del tratto a valle è solo effetto del prelievo di pesca?

15.30 - Il torrente ora si apre in una serie di piccole piane ed è sempre più in evidenza il lato in ombra. E’ il momento che preferisco, il momento in cui, esaurita la smania della cattura, riesco finalmente a prestare attenzione al contorno. Soppeso le cose, ascolto il silenzio, do importanza ai dettagli, rallento a tal punto da percepire il pomeriggio che, lassù in alto, avanza sfiorando lentamente le cime degli alberi. La calma mi appaga.

Non sempre è stato così. In un momento della mia vita ho risalito questi torrenti in modo frenetico, rabbioso. I miei genitori ed una figlia non c’erano più. Ho svuotato armadi, raccolto giochi, provato ad abituarmi ad una vita senza di loro, tentato di riempire lo spazio che occupavano dentro me. Erano stati nel mio paesaggio mentale da quando ero nato, attraverso ogni periodo e fase, ed io in quello di mia figlia: riconfigurare un mondo senza loro non poteva essere semplice. La fatica fisica, la ricerca della cattura e la sfida continua che impongono questi ambienti furono l’innocua morfina con cui quietare la mia anima.

La gioia della pesca però non risiede solo nella cattura, per gran parte è legata al contatto con la natura. Noi vediamo solo una minima parte del mondo acquatico e di quello che lo circonda, ma abbiamo la possibilità di guardarlo con tanta attenzione da riuscire a carpirne i segreti.

Tanta attenzione che ora, finalmente, ombra tra le ombre, la vedo: la prima bella trota della giornata. E’ in una piccola rientranza della parete rocciosa, dove la corrente è quasi nulla ma il flusso principale è a pochi centimetri. Un po’ di finale in shooting contro la roccia… ed eccola che sale! Non era difficile da pescare, solo da vedere. Beh, non è neppure troppo grossa, da queste parti le trote non sono da foto di copertina, per capirci: se riesci a prenderne una oltre i 35 hai tutti i diritti di rovesciarti la maglia in testa ed andare ad esultare sotto la curva, ma ad ogni modo è la più bella della giornata. La rilascio. Con un lento colpo di coda torna verso il blu.

Che silenzio attorno.

Che meraviglia.

Mi piace tutto di questo istante

18.30 – Affrontare questo duro sentiero di ritorno mi porta a riflettere sui veri motivi che mi spingono quassù. Non sono certo le catture, ve l’ho già detto ci sono solo fario e neppure tanto grosse. Non sono le schiuse, volano diversi insetti ma la pesca è esclusivamente in caccia. E’ il pizzico d’avventura, l’adrenalina del “passaggio” da brivido, la curiosità della prossima buca, il silenzio oltre lo scorrere dell’acqua, la ricerca della solitudine, tendenza esclusiva del nostro tempo: prima, e fin dalla sua comparsa sulla terra, l'uomo ha sempre cercato di non rimanere solo. Ma soprattutto è la scarsa memoria, se avessi avuto un chiaro ricordo delle mie uscite di pesca avrei smesso di pescare a mosca da tempo. Ma i ricordi si fondono e condensano, così c'è sempre quella curva distante del fiume ricca di promesse, o quel prossimo giorno pieno di possibilità che mi oscura la ragione e mi rimanda ad incespicare tra sassi e radici alla ricerca di un improbabile Graal Squamato.

Il nome – Incidentalmente, quelli delle foto sono l’Uccea e il Comugna, ma il testo si riferisce ad uno dei tanti. Certi hanno un nome locale, non facile da ricordare, altri, sorprendentemente, neppure quello. Certi sono gentili, si lasciano risalire, altri molto meno, ci sfidano ad ogni passo.

Sono i piccoli torrenti che solcano vallate disabitate ed ancora naturali. Sono ruscelli che scorrono freddi e chiari, inventandosi il percorso tra le rocce, scendendo in rapide spumeggianti, piccole cascate e poi lentamente in piane. Scivolando inevitabilmente dentro affluenti maggiori. Poi in fiumi. Sono acque che scolpiscono nella roccia e nel nostro cuore immagini difficilmente dimenticabili. Quelle dolci prepotenti immagini, dotate di vita propria, che riemergono autonomamente nei momenti meno attesi.

Sono posti dove “L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile”, universi a parte, piccoli affluenti legati al mondo a valle solo dalla legge di gravità.

Luoghi aspri e suggestivi che in cambio del nostro sudore ci regalano un po’ di serenità.

Un giorno intero in questi posti solitari e selvaggi non risolve certo i problemi della vita ma, credetemi, è come qualche seduta dallo psicanalista: ci fa sentire in pace con il mondo!