Bollate sul Nilo

Marco Sportelli

 

 

Come definire la pesca? Passatempo?! Nel mio caso non lo ritengo corretto. Passione?! Neppure, perché se è vero che presi dalla passione facciamo cose irrazionali, è anche vero che poi, passato l’attimo, a mente fredda, ci rendiamo conto dei nostri eccessi. Vizio?! Ecco, sicuramente per me è un vizio. Vizio è un’abitudine reiterata che ci porta a considerare normale un comportamento anomalo. Vizio è un comportamento, un modo d’essere talmente connaturato in noi da “essere noi”, sprofonda e s’intreccia talmente alla nostra quotidianità da non farci render conto del ruolo che gioca nelle nostre scelte. Il passatempo ci prende, la passione ci sprona. Il Vizio ci rende succubi. Se provo ad analizzare il mio vissuto, nel tentativo di estrapolarne la componente “pesca”, mi trovo costretto a negarmi delle evidenze.

Se da un lato la pesca, e la pesca a mosca in particolare, riempie piacevolmente gran parte della mia giornata, dall’altro ruba spazio ed energie. Se da un lato è una buona compagna che stimola la fantasia durante lunghi viaggi o mi concilia il sonno con il ricordo di luoghi e momenti passati sull’acqua, dall’altro mi distrae dal lavoro e dalla famiglia.

Non solo la pesca, anche l’acqua in se mi attira: ogni ponte, canale od il più putrido laghetto calamita la mia attenzione. Addirittura mi si è instaurato un istinto riflesso per cui, quando in macchina attraverso ogni pur piccolo corso d’acqua o fosso, non posso far a meno di girar la testa. Ma il più difficile è dover ammettere che molte scelte di vita o di lavoro sono state influenzate dalla mia passione. Sono sempre vissuto vicino all’acqua!

C’è stato un solo breve momento in cui ho pensato realmente ad una decisione diversa: il mio lavoro in Italia è destinato ad esaurirsi così, per prendere il toro per le corna, ho valutato seriamente la possibilità di trasferirmi in Egitto con la famiglia. Sono stato dieci giorni a Il Cairo per ponderare lavoro e stile di vita. Ero alloggiato in un Hotel in riva al Nilo e tutte le mattine facevo colazione con lo sguardo rivolto alle placide acque del padre di tutti i fiumi. Simili decisioni non sono facili, perciò aspettai uno degli ultimi giorni del soggiorno, era mese di Ramadan, ed attesi la calata del sole.  

Quando il Muezzin intona il suo canto la città, trafficatissima, popolatissima, rumorosissima in pochi minuti si trasforma: i suoi quindici milioni d’abitanti con la loro accozzaglia di catorci fumosi spariscono, le strade si svuotano, le vie dei quartieri, fino a pochi attimi prima spettatrici di un veloce via vai di veicoli e dominate da rumore di clacson, si trasformano in lunghissime tavolate imbandite d’ogni ben di Dio. E’ l’Iftar il primo pasto della giornata in periodo di Ramadan. Nessuno si astiene dall’evento. (Per inciso: gli islamici non  potranno mai essere dei buoni pescatori a mosca. Si perdono troppi "coup de soir".) 

Approfittando di questa calma scesa sulla città mi diressi su un grande  ponte sul Nilo. Osservai il fiume al tramonto godendomi l’innaturale silenzio e solitudine. Cercai di riordinare le idee analizzando pro e contro di questa decisione: da una parte ci sono  soldi, carriera, esperienza di vita, figli un po’ più figli del mondo; dall’altra l’angoscia dello staccarsi dalle proprie radici, il caos e lo smog propri d’ogni megalopoli. Continuai ad osservare il fiume: fluiva lento e silenzioso, ormai avvolto dal crepuscolo incombente. Da lì a poco la città si rianimò.

Decisi che quello non era il posto per me:

ero lì da più di mezzora e non avevo ancora visto una bollata!