Il bacino del Soca

Marco Sportelli  

(Già pubblicato su Fly Line)

 

 

Vado quasi sempre a pesca in macchina. Il vantaggio è legato alla possibilità di portar con me di tutto ma anche al graduale processo di avvicinamento. Mentre il viaggio procede apprezzo la lenta, percepibile trasformazione del paesaggio, della vegetazione, delle abitazioni. Mi sento sempre più intimamente e piacevolmente lontano da casa. Risalendo la valle del Soca, da Nova Gorica verso Kobarid, è un po’ come tornare indietro nel tempo. Si lascia una cittadina anni ’80, si percorre una stretta valle costellata di sbarramenti idroelettrici caratteristici del Ventennio e, superato il lago di S. Lucia, si sbuca tra mucche indolenti e verdi prati senza tempo. Con timing perfetto, mentre percorro queste curve sinuose ed intravedo finalmente l’azzurro del Soca, la radio srotola le morbide note di Shine on you crazy diamond”. L’attacco iniziale è da brivido. Sono note che, anche loro, tornano indietro e toccano qualcosa dentro di me, molto vicino alle origini. E’ musica senza tempo. Beh, senza tempo… quando mio figlio per diritto acquisito d’età s’è impossessato del mio iPod mi ha detto: “Pa, ti piacciono Pink Floid e Led Zeppelin?” “Sì, Filo.”  “Anche a me, ma… non è che ci potresti mettere qualcosa di più recente???”

 

Bella la valle del Soca! Sarebbe quasi bella anche senza fiume… ma ci verrei molto meno, invece così, a ogni fine estate, la mia bussola biologica si orienta su N-NE ed io migro, assieme a uno stormo di altri pescatori a mosca, su queste acque.

Non sempre le condizioni sono ideali, non sempre la pesca è buona ma è come se ce l’avessi codificato sul DNA: non ne posso fare a meno.

Mentre è certo che il piatto principale, lo scopo della nostra migrazione, sono le sue lunghe, affascinanti piane da temoli, quelli poco considerati sono i suoi affluenti, utilizzati di solito come ripiego ma che, se conosciuti e sfruttati correttamente, possono rappresentare un piacevole antipasto o un buon contorno… e senza cambiare ristorante: le acque più interessanti di questo comprensorio difatti fanno quasi tutte capo all’associazione RD Tolmin.

 

Il Soca è lo stereotipo del grande fiume di fondovalle e in quanto tale non facile. In primavera ci può essere acqua di neve, d’estate piane assolate e traffico di canoe, in autunno la schiusa non comincia prima di mezzogiorno, insomma, è pieno di momenti morti, ma quando le ombre si staccano dal fondo per sfiorare e poi rompere la superficie dell’acqua lo scopo del nostro errare si palesa: è vera pesca a mosca, anzi, Pesca a Mosca.

Nei momenti morti!? Beh, mi piace la pesca in generale, se posso pesco a mosca, se proprio non posso monto qualcosa che vada a fondo. Una ninfa, uno streamer sono un’alternativa per catturare ma se come me preferite veder salire qualche pesce sul vostro artificiale vi consiglio questi affluenti minori.

I torrenti che prenderò in considerazione per comodità logistica saranno Nadiza e Ucja, abbinabili al tratto medio alto del Soca, e Tolminka, Baca e Trebusica abbinabili a Idrijca o tratto basso del Soca.

 

Nadiza - Tecnicamente non è un affluente del Soca, perlomeno con livelli normali. Solo con regimi di piena le acque del Natisone invece di perdersi nella bassa friulana si convogliano nel Torre e poi in Isonzo. La parte più bella è sicuramente in Friuli là dove, scavandosi un profondo percorso tra conglomerati calcarei, il fiume ha lasciato dietro di se buche ed enormi macigni. L’inesorabile declino di questo tratto purtroppo è noto a tutti: la portata media si è ridotta, i regimi estivi sono minimi, il cavedano ha colonizzato l’areale della trota e i temoli che si ostinano a resistere sono sempre più rari.

La parte slovena, caratterizzata da una conformazione più torrentizia e minor flusso in sub-alveo, ha risentito meno del calo di portate.

L’accesso più intuitivo è dove la strada proveniente da Kobarid si riavvicina all’alveo. In questo punto c’è un ampio parcheggio e a risalire piane e buche modeste, popolate da frotte di facili iridee, rare trote selvatiche e qualche temolo. E’ molto comodo, vicino alla parte centrale del Soca, e quindi un buon riempitivo per le mattine di fine stagione quando le bollate nel grande fiume si concentrano nel primissimo pomeriggio, mentre qui, grazie alla temperatura dell’acqua mediamente più alta, già qualcosa si muove.

Spesso comincio da qui. Riuscire a prendere un pesce dopo pochi lanci mi dà fiducia e riattiva sopiti meccanismi. Il primo di solito scivola come un’anguilla ma non è viscido, è colpa della mano da impiegato. Ma è un attimo, pochi minuti a contatto con l’acqua e, non so se avete notato, si trasforma: le zigrinature dei polpastrelli si evidenziano, la pelle diventa rugosa e le dita, perfettamente lisce per scivolare sulla tastiera, ora sono tornate un efficientissimo strumento di presa. Migliaia d’anni d’evoluzione riemergono prepotenti. Catturare 10-15 ingenue iridee non è entusiasmante ma serve. Stempera la smania della cattura e predispone serenamente alla sfida con le complicate bollate che mi aspettano di là.

Se avete più tempo lo potete risalire in auto dal paesino di Staro Selo fino a Podbela. Attraversate il Nadiza e proseguite fino al vecchio ponte di pietra. La strada lo lascia definitivamente, il torrente entra in una vallata selvaggia e disabitata e ha una bellissima conformazione a massi, buche, e trote. Solo trote selvatiche. Anche le iridee che incontrerete trattatele con rispetto perché sono pesci nati e cresciuti in posto.

Da ricordare che il Nadiza è uno dei fiumi che ritorna pescabile più velocemente dopo un periodo di pioggia e risente poco di acqua di neve.

  

Ucja Nutro da sempre un’attrazione fatale verso l’acqua tant’è che attraversare un ponte mi genera lo stesso istinto riflesso del rumore di tacchi a spillo per strada: mi volto a guardare. Spesso è un fosso, uno scolo, insomma una delusione; a volte una promessa; raramente, molto raramente qualcosa d’intrigante.  Certi meritano solo una breve occhiata mentre altri li seguo con lo sguardo e anzi, svaniscono troppo velocemente anche dallo specchietto retrovisore.

 

Ecco, attraversare l’Ucja a Zaga e trovarmi la vista verso monte sbarrata da quell’enorme briglia invalicabile mi ha sempre intrigato. Cosa si celerà là sopra?  

Mi piace l’Uccea friulano e quest’anno, approfittando delle dritte di Branko Gasparin colgo l’occasione per conoscere anche il tratto Sloveno. L’Ucja confluisce nel Soca a Zaga. Il tratto finale, dal Soca fino al ponte del paese non è molto bello, è monotono, ma sono presenti temoli in risalita dal fiume e qualche marmorata. E’ un veloce ripiego quando l’acqua del Soca è troppo alta o le canoe vi hanno esasperato. Il temolo lo risale e colonizza fino alla grande briglia in paese. A monte della briglia cambia completamente aspetto, diventa un torrente impervio che scorre in una valle selvaggia e poco accessibile ed è popolato da fario, marmorate e loro ibridi. Pescare qui non è più un ripiego o un riempitivo ma una scelta ragiona. Beh, considerando che per risalirlo richiede molta determinazione, non ci sono uscite intermedie, le rive sono a picco e la strada molto alta e lontana, “ragionata” mi sembra una parola grossa! Difatti il consiglio di Branko è molto semplice: “Non ci andare, non da solo. Con tutti i pesci che sono in Soca chi te lo fa fare d’andare lassù?” A volte le manie di un pescatore neppure un maniaco della pesca le capisce! E non c’è nulla più di un divieto che mi stimoli la fantasia. Non raccolgo il consiglio ma prendo atto della sua conoscenza del territorio e mi “accontento” di accedere dal ponte che fa da confine tra Italia e Slovenia. Da qui, seguendo dapprima una vaga traccia nel bosco e poi, improvvisando e seguendo semplicemente l’istinto, scendo verso valle fin dove mi salta in mente che poi devo anche risalire pescando.

Un po’ sudato ma sono qua, dove “non dovrei”.

Silenzio e meraviglia. Rocce e acqua gelida

La gola è stretta, profonda, claustrofobica, ma è proprio in questi posti che mi sento più vivo. Abituato a un mondo su misura, costruito a scalini di 20 cm, solo qua, tra questi enormi massi e pareti invalicabili percepisco il reale rapporto fisico tra noi, piccoli esseri umani, e la sublime immensità della natura.

 

Le trote ci sono, qualcuna l’ho vista fuggire scendendo, ma questa marmorata che quasi subito, uscendo dalla tana, ghermisce la mia grossa Chernobyl è più bella dell’atteso.

 

In quanto essere umano vivo sempre in precario equilibrio tra vanità e invidia. Mi piace pescare solo, ma quando prendo un bel pesce vorrei un pubblico immenso. Sì, è proprio così, se sono in compagnia non arrivo a sottolineare le catture con un urlo d’esultanza ma un furtivo, vanitoso sguardo a monte e a valle, per vedere se “tutti” si sono accorti di “come sono bravo”, a volte mi scappa. E di quelle dei vicini? Bah, placo la mia invidia valutandole sicuramente più piccole e inequivocabilmente prese sotto e si sa, una trota a secca è sempre un po’ più grande di una presa a ninfa e molto più di quelle prese a streamer. Questo bel pesce, catturato lontano dal mondo, è quasi sprecato, beh, rimane pur sempre una foto ma, per quanto i nuovi sensori digitali siano sensibili e performanti la magia, di quest’attimo in questo posto, non è riproducibile in pixel. Comunque meglio le foto, fermano un attimo per sempre, sono profonde radici che si oppongono all’erosione della memoria ma lasciano ancora spazio all’immaginazione. I filmati con la loro cinica obiettività mi mettono angoscia.

 

L’Ucja è vario, sempre interessante, ben popolato e le trote, taglia torrente (25-35 cm), aggrediscono generosi artificiali salendo dalle pozze più profonde o sbucando improvvise dalle loro tane. Sondare tutte le postazioni promettenti fino alla vista del ponte mi impegna almeno 4 ore.

Un’unica nota dolente: le mie grosse mosche da caccia sono state surclassate da un artificiale, probabilmente non nuovo, ma concettualmente interessante.

E’ nelle mie scatole dallo scorso anno ma, amando troppo le mie mosche (vanità) e concedendo poca fiducia a quelle degli altri (invidia), avevo finora accuratamente evitato di utilizzarlo. E’ una sedge parachute con ala in capriolo e post rosso. E’ catturante, indistruttibile, visibilissima e inaffondabile, beh, in realtà a fondo ci va anche troppo spesso… ma in bocca al pesce. Per comodità l’ho definita B-Sedge. Branko le costruisce in tutte le misure ma per ora l’ho provata solo sull’amo n°8.

 

Insomma, non ho visto una bollata, non ho preso un esemplare enorme, ho usato solo grossi attractor, mi sono sfiancato tra enormi massi e ripide salite, ma è stata una giornata meravigliosa. Sono felicemente arrivato al punto che la pesca è quella che mi piace e non quella che dovrebbe, per comune pensiero, piacere a un pescatore a mosca. E questa sera tornando nell’intensa atmosfera familiare di Branko e Vlasta mi sentirò un po’ di essere il bambino appena tornato dalla marachella che non doveva fare, il Cappuccetto Rosso passato dal bosco.

 

Tolminka Ogni volta che capito qui un sole a picco mi perseguita. Si possono prendere trote in una piacevole giornata di sole ma di solito ne prendi di più quando un po’ devi soffrire. E’ un dato di fatto. Pianificare una gita di pesca e azzeccare le giuste meteo purtroppo è difficilissimo: deve esser stato bel tempo perché l’acqua sia bassa e limpida ma nei giorni di permanenza la pressione deve essere in calo con nuvole basse e un clima miserevolmente freddo e umido, perché queste sono le condizioni migliori per le schiuse; non solo, l’umido non deve essere vera pioggia altrimenti tutto di nuovo si ferma e l’acqua si sporca. E’ incredibile come le effimere siano più propense ad emergere proprio con cielo coperto e rischio pioggia che è lo stesso tempo che le trote, di solito infastidite dalla luce, prediligono per alimentarsi che, guarda caso, è lo stesso tempo che allontana la concorrenza di molti altri pescatori dal fiume.

Molti insetti, trote fuori, pescatori a casa: l’equazione perfetta!

 

Giorni così si possono contare sulla punta delle dita ma sono sempre ottimi, tanto buoni da accorgermi del cielo minaccioso o della pioggerella solo a posteriori, quando riguardo le foto: ho sequenze di paesaggi e scorci di fiume con cielo splendido, e solo nuvole grigie o erba bagnata a far da sfondo a belle catture. E con addosso il mio impermeabile, certo. Non si può mai contare su questi giorni, la differenza tra una giornata umida e una piovosa è talmente flebile da andar oltre le più dettagliate previsioni meteorologiche, ma andando a pesca spesso e tornando a casa un po’ bagnati… ogni tanto può capitare.

Il Tolminka confluisce nel Soca, dove è quasi lago, a Tolmino. Nella parte bassa, per capirci fino alla prima briglia a monte del paese, diluiti tra troppe iridee di semina ci sono temoli e anche belle marmorate in risalita dal lago ma l’alveo è stato profondamente modificato dall’uomo. Provate con attenzione le due piane sopra il ponte della statale ma poi superate senza esitazione la briglia e cominciate a risalirlo. Dopo qualche casa entra in una stretta valle pochissimo antropizzata. Qui il torrente torna velocemente naturale e popolato solo da pesce selvatico. E si sa, sole e trote selvatiche si escludono a vicenda.

Questo tratto, per quanto stretto, si risale con facilità per un paio di chilometri fino alle gole del Tolminka, dove vige un divieto assoluto di pesca. Come dicevo la popolazione è naturale e modesta: rari pesci, difficili e schivi. Poco prima delle gole c’è un immissario con fario dalla livrea meravigliosa: pesci selvatici che crescono in quell’affluente, accessibile solo per poche decine di metri. Le gole sono spettacolari e prima di risalire alla strada meritano una sbirciatina. Per pescare con attenzione questo tratto, tutto regolamentato No Kill, considerate tre, quattro ore di pesca.

Per il rientro si può utilizzare il sentiero che risale dalle gole e poi seguire il segnavia “Tolmin” fino alla macchina.

A monte il Tolminka diventa estremamente selvaggio, poco accessibile e consigliato solo ai più motivati. Il sentiero corre alto, gli accesi sono saltuari e i tratti risalibili in alveo brevi. Una bella scarpinata non adatta a tutti. Com’è andata la pesca!? Appunto, come dicevo, con questo cielo sereno e pieno di luce sono venute ottime foto… di scorci di fiume!

Se invece volete catturare qualche bel temolo o tentare le iridee selvatiche che a fine settembre risalgono dal lago per riprodursi non c’è nulla di meglio che provare la confluenza del Tolminka nel Soca. Con livelli normali l’ampio ghiareto sommerso è sempre ben popolato e accessibile in wading.

 

Koritnica e Lepena Sono affluenti del Soca alto e ricadono sotto una differente gestione. Il Koritnica non lo conosco ma in seguito ad una rovinosa piena è stato per tanti anni la causa principale dell’acqua bianca del Soca. E’ un torrente più famoso tra i canoisti che tra i pescatori. Del Lepena ho dei bei ricordi. Proseguendo oltre Bovec in direzione Trenta dopo qualche chilometro si imbocca un bivio sulla destra con indicazioni Lepena/Kamp Klin. La strada attraversa il Soca in un punto in cui scorre in una strettissima forra, non più larga di un paio di metri, che merita qualche foto.

Proseguendo si arriva all’Hotel Kamp Klin sito nei pressi della confluenza del Lepena dove rilasciano i permessi. Tra gli affluenti del Soca il Lepena è quello che risente meno di piogge e acqua di neve quindi non è raro trovarlo pescabile anche quando gli altri non lo sono.

E’ un buon ripiego. E’ un piccolo torrente ma ben popolato di marmorate e nelle buche aspettatevene anche delle discrete. La prima parte è rettilinea e l’acqua scivola via veloce ma più a monte, in prossimità di ampie anse, si formano piane e buche interessanti alla pesca.

 

La vallata è poco antropizzata ma anche modesta, difatti il tratto interessante risale a monte per 2-3 km, poi si divide e s’inerpica in un ripido pendio.

 

Baca - Cartelli No Kill e nuovi moschisti di solito compaiono nei fiumi contemporaneamente. In effetti, questi tratti attirano più persone di altri, dove la pesca è buona, semplicemente perché se ne parla e, in quanto protetti, appaiono agli occhi del pescatore medio molto più interessanti.  Alcuni di noi non pescano in un posto fino a quando non diventa regolamentato e altri smettono proprio in quel momento. Essendo generalmente più numerosi i primi si può dedurre che non sempre l’istituzione di un No-Kill sia positiva. Il Baca, dalla confluenza con l’Idrijca alla chiusa di Klavze, è No-Kill, la strada lo costeggia da vicino e i gestori hanno ben pensato di seminarci grosse iridea. State pur certi che la concorrenza la trovate concentrata lì. Ottimo. Perfetto. Basta spostarsi poco più a monte per avere chilometri di fiume tutti per noi.

 

Il torrente è costeggiato da una strada e da una storica linea ferroviaria percorsa da un originale treno a gasolio che, tramite una lunga galleria, trasferisce auto e passeggeri, dalla valle del Soca a quella della Sava. A Klavze entrambe si allontanano dal Baca, gli accessi si azzerano, le case spariscono e per due chilometri sarete solo voi, il torrente, e beh, sì, anche qualche temolo e trote meno grosse, meno numerose, ma più reali di quelle a valle.

 

Ha una conformazione da torrente di fondovalle, lunghe spianate, qualche buca e brevi raschi, il giusto compromesso per alternare mosche da caccia alla concreta possibilità di pescare in bollata. Dove il letto si stringe, la corrente diventa veloce e sul fondo ci sono rocce sommerse a far da zona di riposo insistete con il vostro artificiale da temolo preferito: quelli belli, in qualsiasi corso d’acqua, raramente scelgono posizioni diverse. La mosca di solito deve essere di buona taglia ma sopratutto ben visibile, per facilitare “la passata perfetta”, l’unica che riesca a stimolare la salita del Timallide. La mia è una grossa formica, amo grub, corpo in poly nero, hackles parachute e post in CDC bianco, ma ultimamente mi sto ricredendo…

Poco prima di arrivare a Grahovo una buca profonda con rive a picco vi sbarra il cammino. E’ ora di tornare. In verità proprio sopra la buca passa il ponte ferroviario ma è stretto, vicino alla galleria, quindi pericolosissimo. Se io l’ho fatto ora casualmente non ricordo… ma sconsiglio a tutti di utilizzarlo.

Il Baca vi è piaciuto? Non finisce qui, risalite in auto fino a Grahovo e scendete alla stazione. Tutto il tratto a monte e a valle è meno scenografico ma molto ben popolato da trote e temoli. O spingetevi ancora più su, il torrente è vario, con pesce selvatico, facile da risalire e la strada lo costeggia sempre abbastanza da vicino.

 

Il Baca ha anche due interessanti affluenti, Kneza e Koritnica. Mi sono sempre proposto di risalirli, e prima o poi lo farò, ma non ci sono ancora riuscito. Le opportunità e le alternative di questo comprensorio sono sempre maggiori dei miei giorni di permanenza. Non manca la voglia ma il tempo. E’ sempre questione di tempo. Anche quando ce lo prendiamo e proviamo a estraniarci per qualche ora, non riusciamo a spezzare completamente i legami con il mondo. Il cellulare, ad esempio, ci perseguita. Io ho imparato che se sono “momentaneamente irraggiungibile” in gran parte degli impervi torrenti in cui m’inerpico lo posso essere molto più serenamente anche con pieno campo, ma non tutti riescono a staccare tout court dal lavoro. Al fiume c’è chi lo usa con discrezione, anzi quasi di nascosto, chi sbraita come un sergente dei marines e chi la prende con filosofia e ironia. Il mio compagno di pesca all’ennesima richiesta d’intervento “Pronto! Venga subito che ho il pavimento del bagno pieno d’acqua!” l’ho sentito rispondere, in wading e canna in mano, “Non posso… e poi cosa vuole che sia! Dove sono adesso ce n’è una mezza gamba!”

 

Trebusica Per farmi felice basta poco. Datemi un posto solitario, una canna in bambù, una coda di seta e una bella ragazza e potete tranquillamente tenervi canna e coda. Non che sia così “affamato”, semplicemente il bambù e la seta mi hanno sempre lasciato indifferente.

Per un lungo periodo ho solo sentito parlare di queste canne ma non le ho mai viste portare al fiume. Venivano custodite con religiosa cura nell’armadio più nascosto di casa. Qualcuno, in effetti, giurava di averle usate, se per usarle si può intendere qualche lancio di prova nel prato o, con meteo tendenti al caldo secco, qualche trotella presa nel fiume sotto casa. Come pescatore a mosca sono nato assieme al carbonio e ne ho vissuto l’evoluzione, il mio imprinting quindi è evidente. E’ come se mio figlio, nato con gli MP3, impazzisse per i dischi in vinile. Non fan parte della sua cultura e immagino che in lui, averli realmente tra le mani, sfilarli delicatamente dalla custodia ascoltandone il fruscio di carta velina, non generi quel formicolio lungo la schiena che a quelli della mia generazione riporta immediatamente a feste buie e fumose, ad amori adolescenziali.

Però… però mi perseguitano. Argeo mi ha raggiunto con il suo fascio di prototipi, quest’anno e la seconda volta che condivido una gita di pesca con qualche accanito rodmaker, e quando il destino si ripropone insistentemente è un segno! Belle sono belle, vive e prestazionali pure. C’è ancora una piccola barriera nel mio subconscio da abbattere e poi, in effetti, vi potrebbero dilagare. Il Trebuscica è un affluente dell’Idrijca. Ci sono temoli e ibridi ma è noto soprattutto per la risalita di riproduttori di marmorata provenienti dall’Idrijca. A tal fine, per la loro tutela, è regolamentato No Kill e la chiusura della pesca è anticipata al 21 ottobre. E iridee, in parte selvatiche e in parte di semina, che oggi la fanno da padrone. Come in altri affluenti questi pesci hanno trovato le condizioni ideali per riprodursi e prosperare. Ne esistono addirittura due ceppi: le Shasta, testa piccola, corpo piatto e colorazione azzurrina e una più slanciata con evidente banda rossastra sui lati. Non sono facili, non sono tante ed essendo alternate a qualche piana popolata da temoli, anche di taglia, rendono piacevole e stimolante la risalita. Il Trebuscica si raggiunge risalendo la valle dell’Idrijca fino al paese di Dolenja Trebusa. Per accedere alla parte bassa si attraversa il ponte e si parcheggia alle prime case. Risalendo la vallata due o tre ponticelli segnano facili punti di accesso o uscita. Il tratto più conosciuto è proprio questo, pochi si spingono nella parte alta anche perché la strada principale inganna: attraversa il fiume e poi si allontana. Per risalire fino a Gorenja Trebusa, dove finisce il tratto pescabile, prima del ponte tenete la sinistra. La strada si mantiene mediamente alta ma non è difficile individuare qualche accesso. Il torrente è piacevole e facile da risalire. Non ha il fondo bianco e l’acqua immateriale del Tolminka, del Nadiza o del Soca ma anzi a fine estate il fondo, il bosco e con loro i pesci si colorano.

I temoli soprattutto.

Ci sono anche un paio di laterali minuscoli ma ben popolati, di quelli che se non avessi altre mire pomeridiane risalirei all’infinito.

Un ponticello senza tempo, incastonato nella roccia, mi rimanda ai Rubens e Velazquez visti quest’estate al Prado. Con in mano questa canna in bambù, un mulinello in radica e il tocco impressionistico del leggero velo di nebbia che sfuma i toni autunnali, in effetti ora mi sentirei molto più a mio agio a posare per un quadro ad olio che per una reflex digitale.

Quelle di Massimo erano perfette, professionali, affinate dagli anni e dall’esperienza. Queste di Argeo (argeo.rod@libero.it) sono in evoluzione, in perfezionamento canna dopo canna, ma trasudano entusiasmo e passione. Credo che in una maniera sconosciuta siamo in grado di trasmettere qualcosa di noi stessi e di quelli che ci han preceduto alle cose che facciamo, un qualcosa che persiste negli oggetti e si somma nel tempo. Succede come alle cose vecchie: hanno una “carica emotiva” che alle nuove manca. Queste canne di legno una volta prese in mano sono un link attraverso spazio e tempo, un messaggio che so di poter decifrare. E prima o poi lo dovrò fare.

E’ passato mezzogiorno, la fame e il grande fiume ci richiamano verso il parcheggio. Soppeso questo attrezzo e ripenso alla mattina di pesca. Oltre che bello ha fatto il suo servizio. Potrebbe finalmente sostituire la mia vecchia canna. All’auto apro il baule e per un momento guardo il mio banale pezzo di grafite: ha superato 15 anni di battaglie, bagagliai, distrazioni. L’ho usata per staccare mosche dai rami, misurare la profondità di un guado. Gli manca un po’ di punta, da qualche parte ha i graffi di mille cadute e nel sughero l’odore di tutti i pesci presi negli anni. Forse ha un fodero, di certo non ha un tubo. E, sì, sono certo, si è guadagnata un’anima.

No, non la cambio.

 

 

 

 

Idrijca Definirlo un affluente del Soca è riduttivo. E’ fiume a tutti gli effetti con vita e caratteristiche proprie.

Il Soca è fiume alpino con tanta ghiaia e acqua di neve, l’Idrijca è fiume carsico con portata più stabile e acqua meno fredda. Non ho mai stabilito un legame con questo fiume, forse perché l’ho sempre considerato un ripiego all’azzurro del Soca o forse per il senso d’inadeguatezza che mi perseguita. Gli habitué lo battono per le poderose marmorate e si vantano di catture enormi: io non riesco a prendere neppure quelle piccole.

In realtà molto spesso la tecnica per catturare questi pesci ha poco a che vedere con code di topo e pesca a mosca. E’ basata su conoscenza del territorio, perlustrazione, ricerca, grossi jig piombati e nylon trecciato. Con la mia moschina secca mi devo troppo spesso accontentare di qualche temolotto, iridee di semina e al massimo grossi diffidenti cavedani. E’ bello e ha una sua magia ma lascio a chi lo ama il compito di raccontarlo.

 

Soca - Per quanto siano belli i suoi affluenti a sera l’impulso è sempre quello di tornare qui. Si può migliorare e affinare la nostra tecnica negli anni ma c’è un punto in cui il nostro concetto di pesca a mosca si consolida. Può succedere subito, alla prima impressione, o più tardi, quando s’incappa in un fiume meraviglioso o una schiusa eccezionale. Si può identificare la pesca a mosca con la bellezza dei luoghi, con la particolarità dei pesci, con la grazia delle mosche o con l’eleganza del lancio. Di conseguenza diventeremo degli zingari, dei predatori, dei fly tier o degl’istruttori di lancio. Definito il nostro ideale passiamo il resto della vista a inseguirlo bilanciando la realtà con il desiderio. Non definiamolo e, migliorando e affinando le nostre abilità all’infinito, diventeremo dei grandi pescatori.  

Io sono uno zingaro. Quello che mi ha veramente stregato costringendomi a far migliaia di chilometri è il colore dell’acqua dei fiumi calcarei, non descrivibile negli articoli e poco percepibile dalle foto, che ho incontrato quando mi sono allontanato dal mio Appennino. Associo ricordi d’impareggiabile intensità alle buche dell’Arzino, alle lame del Mrtvica o alle piane del Soca, ma è quest’ultimo il colpevole. Il colore della sua acqua è indescrivibile, nelle lunghe piane sfuma dal centro verso i bordi e raggiunge il massimo nelle buche. Le pozze più profonde, poi, sono come occhioni azzurri: incantano e inteneriscono il cuore.

Per me è un po’ un ritorno a casa, un posto dove ci porto la canna migliore, dove assumo i giusti comportamenti e metto in campo più attenzione, pazienza e spirito d’osservazione dell’usuale. È passato così tanto tempo dalla prima volta che quei ricordi penso siano ancora in bianco e nero, ma lui è sempre generoso. L’acqua continua a brulicare della vita degli insetti, dei pesci, e degli animali che vengono per bere. E pescatori per pescare. Per lui sono una presenza passeggera, esiste da prima di me e continuerà a farlo dopo, ma in questi anni siamo un po’ cresciuti assieme prendendoci cura l’uno dell’altro: io raccolgo qualche cartaccia e lui mi da tranquillità e occasionalmente qualche pesce.

Ho passato buona parte del pomeriggio pescando in caccia alternando alla mia formica amo 10 la Branko killer montata su amo 8. Sono restio ad ammetterlo ma questo animaletto rosa stacca dal fondo quasi ogni pesce del fiume. Salgono, magari solo per un rifiuto ma salgono.

 

Non demordo all’uso della mia formica, la vanità è una brutta bestia, ma devo ormai rassegnarmi alla sua incredibile efficacia. Questa mosca ha solo un problema, non riesco a copiarla, per quanto cerchi d’imitare tonalità e materiali le mie non funzionano e non galleggiano allo stesso modo.

Il sole, basso all’orizzonte, che per una fortunata coincidenza ha preso d’infilata la vallata, ora si scompone in mille riverberi sull’acqua e il loop in controluce produce quel raro effetto di mille goccioline illuminate. Bello ma… sarà ora di cambiare questa coda!?

E’ il momento d’aspettare la schiusa. Potrei provare a ninfa, ma mi annoia. E’ vero potrebbe anche non esserci, ci vuole il livello, la temperatura, il cielo coperto… tutti i semafori devono essere verdi, ma un po’ d’attesa non guasta. Sono proprio i momenti vuoti tra le schiuse, questi grigi soffusi, questi periodi di calma, di pesca infruttuosa che esaltano e danno spessore al resto. Ed è anche una questione di bellezza, quegli esseri piatti, goffi, che vivono tutta la loro vita sotto un sasso sono molto meno interessanti da imitare e da usare dei meravigliosi insetti alati in cui si trasformeranno da lì a poco. Se la bellezza è qualcosa, diamogliene atto. Le mie ninfe le faccio meglio che posso ma mi rendo conto che per il corpo di una ninfa va bene tutto mentre per una secca scelgo il meglio del meglio.

Guardo il mio riflesso sull’acqua immateriale, quest’acqua fredda e piena di luce di fine settembre. Tornando ogni inizio autunno in questi luoghi le esperienze si fondono e confondono. Il posto, la canna, il mulinello, gli stivali e gran parte delle mosche sono sempre le stesse. Mi capita di trovarmi solo, qui in mezzo, e vivere il momento come se questi anni fossero un tutt’uno. Allo stesso tempo io e quello che ero anni fa. Senza età. Beh, la faccia non è proprio quella d’anni fa ma l’acqua del Soca è molto più famosa per la trasparenza che per riflettere le immagini…

Bingo! Inizia la schiusa. Bollate facili, ma non tutte. Tra loro c’è sempre quel pesce particolarmente difficile, che mette in dubbio le mie certezze, che cancella in un attimo le catture effettuate, portandomi a rivalutare la mia reale abilità di pescatore e l’efficacia delle mie mosche. Quelle che funzionano ed in cui credo sono poche ma so di avere una valida ragione per riempire le scatole anche con altri modelli: si chiama “amor proprio”. Quando la prima scelta non funziona posso sempre provare con la seconda e poi la terza e poi la quarta, sempre meno convinto e su pesce sempre più diffidente, ma è molto meglio rinunciare serenamente ad un pesce perché finalmente ha smesso di bollare piuttosto che girare le spalle a uno ancora in piena attività.

In attività su cosa, ora proprio non saprei, sull’acqua non si vede più nulla, almeno dalla mia parte. Gli insetti che schiudono in questo periodo tra l’altro sono piccoli. Giro qualche sasso e scruto il cielo. Oltre agli onnipresenti plecotterini Tg 18-22, che riscuotono sempre un minimo d’attenzione dai temoli, quelle che si vedono volare sono solo rare piccolissime effimere. Sono chiare e direi… sì, sono certo: amo 20.

OK, dopo questa attenta analisi rimonto il moscone amo 8 e ricomincio a catturare.

Bello essere un purista!

 

 

A4 – L’autostrada fila silenziosa e le chiacchiere durante il ritorno sono quasi sempre le stesse.  E’ curioso come i dettagli che rimangono di una gita di pesca spesso sembrano cose superficiali. Di questo viaggio pur avendo una scheda piena di foto di fiumi e pesci una delle immagini più chiare è, di prima mattina, la rugiada sui vetri dell’auto e la nebbiolina che risale dal lago. E’ proprio a settembre che percepisco la meraviglia della primavera e poi dell’estate. So che tutto si avvicina alla fine, vorrei guardare, toccare, annusare il più possibile, e far scorta di questi ricordi per il lungo inverno che si avvicina. Questa è, in effetti, l’ultima vera gita di pesca ed è il periodo in cui si stacca passato da futuro. “Vado” diventa “sono andato” o “andrò”. La chiusura invernale della pesca fa bene all’anima. Tempo di ricordi e piani futuri. Tempo per elaborare le esperienze e consolidare dati di fatto che diversamente andrebbero persi. Azzerare la partita, ripartire con una nuova stagione tutta da capo.

Bello. Servirebbe anche nella vita reale.

Reset. E si ricomincia.

E’ anche periodo in cui i ricordi si velano di nostalgia. Ma una nostalgia dolce, perché vaga: negli anni fiumi, sassi, pesci, sono ormai diventati un tutt’uno. Ricordi ed emozioni, sovrapposte strato dopo strato, si sommano e condensano. Difficile distillare il particolare. Mentre a volte, al fiume, è canaglia, mi assale alle spalle quando meno me l’aspetto, uno scorcio ormai dimenticato o un odore, soprattutto un odore, mi rimanda a momenti in cui credo di esser stato più felice, e da lì più indietro, alle origini, all’emozione incontaminata, alla magia e alla meraviglia della fanciullezza. Scavando a ritroso alla ricerca di quest’emozione è un po’ come sbucciare una cipolla, strato dopo strato ci si avvicina al cuore e beh sì, come con la cipolla un po’ s’inumidiscono gli occhi.

 

 

 Intervista a Branko Gasparin

 

Branko Gasparin – E’ un tipo eclettico e folcloristico: pescatore, cacciatore, sommelier, fly tier e sicuramente qualcos’altro. Da anni gestisce una struttura ricettiva, Vila Noblesa, pensata e mirata ai pescatori a mosca: quattro casette spaziose e confortevoli, un servizio ristorante con orari a prova di coup du soir, una fornita cantina, rivendita permessi di pesca, stock di mosche di sua costruzione ma soprattutto estrema conoscenza del territorio e agganci in tempo reale per indirizzare al meglio gli ospiti.

Branko è un vero pescatore con alle spalle, letteralmente, pareti piene di catture record e anni di pesca a mosca, un’icona del luogo che ha sicuramente qualcosa da insegnare. Parla perfettamente italiano. Durante la visita al suo laboratorio ne è scaturita uno scambio d’opinioni condensato in questa breve intervista.

D: Branko, ma… comprare tutti questi enormi pesci imbalsamati ti sarà pur costato una follia?

R: Comprati!? Neanche per sogno! Sono stati tutti catturati e imbalsamati da me!

D: Mi vuoi spiegare brevemente come si procede e perché qualcuno è un po’ ingiallito mentre altri sono lucidi e perfetti?

R: Il lavoro comincia già al fiume. Per un buon risultato occorre partire da un esemplare in ottimo stato. Come avrai notato dopo poco tempo i pesci perdono colore. L’unico modo per evitarlo è riporli immediatamente nella carta da giornale avendo cura di interporla anche tra pinne e corpo. Si conservano in congelatore per qualche mese per dar tempo al muco di asciugarsi, poi si svuotano e si trattano con alcool. L’alcool li secca senza fargli perdere il colore naturale. La pelle va infine montata su di una sagoma in poliuretano, leggero e facile da modellare. Quelli ingialliti sono i primi pesci che ho trattato. Ai tempi utilizzavo nomale vernice mono o bicomponente per mobili o imbarcazioni. Purtroppo è vernice ottima per il legno in quanto elastica ma, come vedi anche a casa, ha la tendenza a ingiallire. Ora l’ho sostituita con vernice lucida da carrozziere, più rigida ma inalterabile nel tempo. Questa vernice e il trattamento con alcool consente risultati sorprendenti senza necessità di ritoccare i colori originali del pesce.

D: Imbalsamarli sarà un’arte ma facciamo un passo indietro: prima bisogna prenderli. Un pesce o due può capitare a tutti ma questa enorme quantità come si spiega?

R: Il tempo fa la differenza. Li ho accumulati negli anni e di certo ha aiutato vivere a pochi passi da questi fiumi. Per dedicarsi al pesce grosso occorre anche una certa predisposizione mentale. In effetti, è più caccia al singolo pesce che pesca.

D: Vedo Huco huco, salmerini, trote del Gacka ma la maggior parte sono temoli e mormorate. Da dove provengono?

R: Forse il Soca è il fiume in zona con più pesce trofeo ma le catture provengono in gran parte dall’Idrijca. E’ un fiume con una conformazione più idonea all’osservazione dall’alto, indispensabile a individuare questi grossi pesci, e allo stesso tempo permette di avvicinarsi maggiormente per tentarli. Le catture di solito si fanno con streamer, grosse ninfe o imitazioni di scazzone. Nonostante il prelievo esercitato, anno dopo anno le posizioni idonee vengono invariabilmente ricolonizzate da esemplari di pari taglia. Sono troppe e troppo grosse per essere figlie del fiume. In realtà sono pesci che crescono nel lago di Most na Soci e poi, con gli alti livelli invernali migrano nel fiume dove diventano stanziali.   

D: Raccontami la cattura più rocambolesca o che ti è rimasta più impressa, a prescindere dalla taglia.

R: Le due cose coincidono. Individuai un pesce incredibile in Idrijca. Il primo contatto, con un grosso streamer doppio amo, ci concluse con la rottura della canna. La seconda volta me la trovai ferma sotto di me e la tentazione irrazionale di fargli passare la ninfa amo 8 che stavo utilizzando fu vincente. Incredibilmente la vidi ghermire l’artificiale e poi, inarrestabile con uno 0.18, posizionarsi a centro buca. Come ho ormai imparato questi pesci raramente s’intanano, mollai coda e non potei far altro che osservare i suoi tentativi di liberarsi dall’amo ruotando su se stessa.  Fece tutto da sola, si ingarbuglio talmente prima al finale e poi alla coda che alla fine mi rimase solo da entrare in acqua e spiaggiarla a forza di braccia. Ventuno chili di marmorata!

D: Parliamo di mosche. Ogni anno ne costruisci e smerci migliaia, inoltre ho notato che le distribuisci anche ai tuoi ospiti, immagino per confermare la loro efficacia. Il particolare che balza agli occhi è la taglia, mediamente grande, e l’hackles quasi sempre avvolto a parachute. Me ne spieghi il motivo?

R: In acque profonde, dove spesso vivono gli esemplari migliori, una mosca piccola può passare inosservata o perlomeno il bilancio energetico la rende poco interessante. Il montaggio parachute invece, è ottimo per il galleggiamento, lascia una perfetta visibilità del corpo da parte dei pesci e un’ottima visibilità dell’ala verticale da parte del pescatore. E’ una mosca divisa in due parti: sotto per il pesce sopra per il pescatore.

D: Oltre all’ormai famosa Branko Killer mi sveli un altro dressing efficace per i grossi temoli del Soca?

R: Quando ninfano visibilmente e la BK non funziona neanche nelle piccole taglie ti consiglio questa emergente di Baetide. E’ una mosca che risale ai tempi del Gacka, collaudata quindi in situazioni estreme. La particolarità è il metodo di utilizzo. Il pesce è abituato a veder arrivare le ninfe con la testa verso valle mentre noi, per evitare il dragaggio e non spaventarlo con l’ombra del filo le presentiamo sempre di coda. Il trucco consiste nel piazzare un piccolo piombino a 50 cm dall’esca, lanciare a monte del pesce ed eseguire un mending. A questo punto al pesce arriverà nell’ordine: il terminale affondato dal pallino di piombo e subito dopo la ninfa a pelo d’acqua con la testa a valle. Micidiale 

Ninfa di Baetis

Amo: 14-16

Coda: gallo dun

Corpo: seta giallo chiaro od oliva

Dorso: quill scuro di oca o simili, dopo aver montato il quill eseguire un rigaggio con filo giallo

Ali: piccolo ciuffo di CDC e 2 segmenti di quill d’oca montati a capanna

D: Il futuro?

R: La mia ricerca non ha mai fine, mi stimola mettere a punto sempre nuovi artificiali. Ormai è difficile pensare a qualcosa di completamento nuovo, si può solo rivisitare o cambiare i materiali. Un prodotto straordinario che sto inserendo ultimamente in molte delle mie creazioni è il pelo di volpe. E’ igroscopico, facile da montare ed esiste naturalmente in svariate tonalità. Lo uso dagli streamer alle minuscole caenis. Credo abbia le caratteristiche idonee per soppiantare in molti montaggi il CDC.

 

 

Sedge da caccia

Amo: 8-14

Corpo: dubbing nero

Ala: capriolo, montata a 2/3 del gambo dell’amo

Torace: dubbing nero

Post: Poly rosso/arancione

Hackles: gallo nero montato parachute