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 La primavera è come il pifferaio magico. La sua musica è tanto suadente da
penetrare perfino il grigio delle città e noi, nonostante il frastuono e le
urla concitate del vivere moderno, ne percepiamo la melodia soprannaturale, il
richiamo stregato. Come i bimbi della favola sappiamo che dobbiamo partire,
seguire queste note che vibrando nel nostro cuore ne affievoliscono la
volontà. I lavori restano a metà, gli impegni rimandati, le mogli cercano
invano di trattenerci. E’ primavera.
E’ tempo d’andare a pesca.
Primavera
- Primavera per me
equivale a risorgiva e risorgiva mi riporta alla mia primavera di pescatore a
mosca. Ne avevo letto su "Pescare" ma non avevo mai visto un
pescatore in azione ne un negozio che ne vendesse l'attrezzatura. L'occasione
mi si presentò nei miei vent'anni, quando fui assegnato, come Ufficiale di
Complemento, ad una caserma di Verona. Passeggiando in libera uscita avevo
notato sul lungofiume un piccolo negozio che esponeva in vetrina, con
semplicità, una discreta varietà d’attrezzatura da mosca. Tutte le sere, come
un bimbo davanti al banco delle caramelle, m’incollavo alla vetrina sognando
di trote, di mosche e di tutta la magia che doveva essere nascosta lì dentro,
in quel piccolo negozio. Come investii il mio primo stipendio è scontato.
Appena tornato a casa in licenza, montai canna, coda e finale. Legai alla
meglio una mosca e senza che nessuno m’avesse insegnato (si vedeva… e si vede
ancora), provai a lanciare su delle timide bollate. Con mio grande stupore,
nonostante le parrucche e la mosca che non voleva andare avanti, due temerari cavedanelli si fecero catturare dalla mosca, ed io con loro. Per sempre.
Priorità - A quei tempi la pesca era per me una priorità. Tornato a
Verona quasi non passava sera che non mi recassi lungo il Fibbio ad insidiarne
le sospettosissime trote con la mosca. Allora, inesperto ed Appenninico di
provenienza, quelle fario di pianura che bollavano tra prati di trifoglio mi
stupivano, le credevo un’anomalia. Non sapevo ancora che proprio in questi
ambienti era nata “l’Arte” e che in Italia c’era solo l’imbarazzo della
scelta. Il primo giorno entrai in acqua, ma scoprii che era
molto più profonda e fredda di quanto immaginavo. Il successivo, essendo gli
stivali ancora bagnati, mi avvicinai cautamente al bordo, ma imparai che
neppure gli anfibi militari eran poi tanto “anfibi”. Il terzo venni a patti
con la mia testardaggine e concordammo che era necessario un approccio
diverso: non era un torrente appenninico, nemmeno un corso di fondovalle;
avremmo dovuto evitare di sguazzarci dentro. Pazienza. Di contro ci
risparmiavamo lunghe scarpinate, non c’erano sassi su cui inciampare e neppure
scivolose cascate da superare. In Appennino avevo imparato
che le trote non amano acque aperte ma cercano protezione dalla
corrente e dai predatori; prediligono posti dove converge facile cibo o dove
l'acqua accumula le prede. Ma qui!? Difficile cercare
punti di riferimento: le tane, i massi, l’inizio buca, l’incrocio di due
correnti… tutti gli hot spot del torrente erano andati. Al loro posto solo
ammassi di piante acquatiche, rive infide, roveti spinosi, ma più di tutto,
morbose, insaziabili erbe infestanti che si prodigavano in appassionanti
abbracci con la mia coda di topo.
Vogliamo
aggiungere che dovevo anche imparare la tecnica!? Un disastro.
Gran maestro il Fibbio, ma per il principiante assoluto qual’ero il tirocinio
fu senza sconti: per me furono solo trotelle!
Però, oltre alla modestia, è la che ho velocemente imparato l’importanza del
dragaggio, della scelta dell’imitazione, della necessità di muoversi
lentamente e con attenzione alla ricerca di pesci in attività. E’ la che ho
imparato ad amare l’acqua fredda, limpida e costante che fluisce silenziosa
tra i prati. Quando ero giovane la
scuola, lo sport, gli amici, le donne, soprattutto le donne, rubavano molto
tempo alla pesca. Ora, dopo vent’anni e tre figli, la mia vita è talmente
cambiata che mi sento di sottrarre tempo alla famiglia anche per poche ore
passate al fiume. Però, un
paio di giorni ad inizio Aprile in queste quiete acque del piano non riesco a
negarmeli: sono un lungo respiro, un modo di fuggire, allontanarmi, da un
mondo più veloce, complicato e caotico di quello che potrebbe essere.
E gli scrupoli di coscienza? Beh, in verità sono solubili in acqua da trote e
poi, certe priorità, una volta stabilite, vanno mantenute!
Pesca
in risorgiva - Tracciando una retta tra Verona e Gorizia se ne intersecano
a decine, dalla più grande d’Europa, a piccoli rivoli neppure segnati sulla
cartina, dalle più note ed inflazionate ad altrettante valide per quanto
sconosciute. Questi ambienti
stupefacenti e preziosi purtroppo non han goduto della cura riservata per
secoli ai nobili Chalk Streams Inglesi. Disboscati, arginati e canalizzati son
oggi in gran parte ostaggio dell’agricoltura intensiva.
Sulle loro sponde si alternano a campi di granoturco ed erba medica, roveti,
fitti arbusti ed i rari residui di macchia planizia. Così a zone con facili,
comodi accessi se ne contrappongono altre impraticabili.
Sono acque difficili, che di solito attirano e riescono a far convivere
facilmente (non si incontrano mai) due categorie di PaM dal carattere
contrapposto: il contemplativo e il compulsivo.
Il primo le affronta in modo empatico: si apposta sul prato; scruta gli
svogliati pesci che pinneggiano tra le mille sfumature della vegetazione
acquatica in lento, costante movimento; assapora la calma del luogo, pensa
come penserebbe una trota, rispettandone tempi e ritmi in attesa del momento
giusto. Insomma… peggio che star dietro a una donna!
L’altro si concentra sull’azione: indossando wader di gomma affronta zone
paludose, rovi, siepi invalicabili; va a “caccia” di trote, aguzzando la vista
in cerca di bollate o di pesci attivi ai bordi della vegetazione.
Io sono un po’ più del secondo tipo, cammino, scruto, m’intrufolo ovunque fino
a trovare una preda che bolla. Solo allora rallento, mi rilasso e concedo a
questi difficili pesci tutti il tempo che si meritano. Fatico ma catturo.
E quelli del primo tipo?! Beh, se dopo un giorno passato in riva al fiume a
guardar crescere l’erba, non hanno ancora buttano la
canna
alle ortiche, sicuramente hanno acquisito le basi fondamentali della filosofia
Zen!!!
A pesca in due - La roggia che ho scelto oggi è un segreto. So che è un
segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto. E’ frequentata solo da locali
e qualche foresto ben informato.
Ho portato un amico collaudato, non ama questi posti ma mi accompagna
ugualmente. Tutto sommato sono un buon compagno di pesca: non fumo, catturo
meno e gli scatto un sacco di foto. Inoltre lui, essendo mancino, preferisce
l’altra sponda… del fiume intendo! Ci muoviamo lentamente, aspettando la
schiusa di mezzogiorno e difatti, dopo un paio d’ore passate a cercare rari
pesci attivi sul nulla, ecco materializzarsi cerchi corposi e costanti che
fanno sparire le sempre più fitte coppie d’alette. Le prime catture sono
facili ma ora, che le effimere scendono sulla corrente come pendolari dal
metrò all’ora di punta, sono solo rifiuti.
Quest’anno mi sono preparato con cura: ho sfogliato qualche libro d’insetti,
ho imparato che l’ephemerella ignita ha cambiato nome ed ho costruito decine
di modelli sofisticati. Cerco di concentrarmi nell’individuare il tipo
d’effimera e lo stadio su cui è focalizzata l’attenzione dei pesci ma il mio
compagno poco più a monte mi distrae continuamente. Lui ha un'ignoranza
enciclopedica sull’entomologia: non sa nulla d’effimere, ma neppure di
tricotteri e plecotteri! Di cose di cui io non ne ho la minima idea, lui ne sa
ancora meno! Tuttavia trova sempre l’imitazione perfetta per quel momento e,
come ora, me lo fa anche notare sottolineando ogni cattura.
Altro artificiale, altro rifiuto.
Perché più le trote rifiutano più gli occhielli delle mosche sembrano
rimpicciolire? OK! Questa chernobyl
appesa alla patch poco assomiglia ai naturali, ma è già qui e montarla è un
attimo. Alla prima passata la
trota sale a ghermirla. Forse dovrei correggere il nome: Chernobyl è meglio
scriverlo in maiuscolo! E’ comunque un caso, di solito queste trote sanno di
cosa cibarsi, non ho mai trovato stupidi pesci ma solo stupidi pescatori in
queste acque. Però, qualche
considerazione mi va di farla.
Sulle mosche – Non credo alla “mosca esatta”. Ho le tasche piene di
scatole di artificiali ma generalmente ne utilizzo solo due-tre modelli, su
varie taglie, che riescono a coprire la maggioranza delle situazione di pesca
italiane, Ma in schiusa intensa, lo ammetto, la cosa si complica. Il pesce si
focalizza su qualche “particolare”, a noi di difficile individuazione, che
l’aiuta a riconoscere l’insetto. Che non sia colore,
modello o materiale a far la differenza lo si deduce dal resoconto serale:
ciascuno ha catturato con artificiali diversi. Mi sono
convinto, invece, che "mosca giusta" significhi azzeccare un artificiale che
imiti in parte l'insetto che sta sfarfallando, ma, soprattutto, il suo assetto
in acqua. Solo quando il nostro ciuffetto peloso genera il giusto connubio tra
peli, piume e tensione superficiale si ottiene quel
particolare
“particolare” che convince il pesce all’attacco.
A pesca da solo – Inizio estate, metà pomeriggio. Destinazione finale:
Prealpi Carniche, ma il cielo minaccioso mi suggerisce una breve deviazione
per tornare qua. Mi piace andare a
pesca con gli amici ma capita spesso che vada da solo. Lo faccio per stare con
me stesso, o perché son triste, oppure allegro, spesso per nessuno dei tre e…
permette di cambiare idea. Col
progredire della stagione le ultime ore di luce sono le uniche proficue in
risorgiva ed oggi, catalizzate da questa bassa pressione, lo potrebbero essere
estremamente. Difatti, il fiume è morto, ma perlomeno sembra tutto per me.
Mi muovo verso monte scrutando nel riflesso grigio dell’acqua. Con la coda
dell’occhio percepisco, finalmente, cerchi ormai deformi portati a valle dalla
corrente. Un minuto nulla; due neppure. Inizio a
dubitare
quando l’acqua si apre in un'altra impercettibile bollata.
E’ proprio li dove me l’aspettavo: purtroppo un cespuglio proteso e la
posizione del pesce obbligano ad una posa estremamente precisa. Il contrasto
di corrente e la ridotta finestra visiva, richiedono un lancio perfetto ed
anche così occorrerà più di un poco di fortuna. M’impongo calma e
concentrazione. Un mio amico, molto alternativo e seguace di non so quale
filosofia orientale, mi dice sempre che occorre rilassarsi, percepire la canna
come un’estensione del corpo, lasciar fluire il Karma lungo la coda, fino
alla mosca, che come proiezione della mente si poserà sempre dove noi la
vogliamo. Con questi esercizi
di concentrazione e rilassamento ho imparato cose straordinarie. Ad esempio ho
scoperto che in una vita precedente ero una scimmia… diversamente non mi
spiego come mai le mie mosche finiscano sempre appese ai rami!
M’avvicino molto lentamente ed entro in acqua in precario equilibrio sulla
ripida sponda. Sono in posizione. Della trota nessuna traccia. Mi avrà
sentito? Un altro cerchio si materializza.
Ho imparato a non lanciare subito …ecco un'altra bollata!… E’ molto
importante. Di regola ne aspetto almeno tre consecutive per lasciargli tempo
di riprender confidenza. Un
“contemplativo”, bello come il sole, appare all’improvviso sull’altra riva,
proprio dove il mio pesce sta salendo per la terza volta. Accenna un saluto e
comincia a pescare. La trota è ormai dileguata. Contraccambio con un
falsissimo sorriso. Mi sgranchisco le gambe e mi sposto più a valle,
augurandogli che la prossima schiusa provenga dalla sua scatola di mosche. 
Le sedge – Più a valle catturo qualche trotella e qualche immagine: quest’ultime
a saziare la mia vanità. Se mi ostino a scrivere i motivi possono essere vari
e non facili da individuare ma, considerando che a pesca mi piacerebbe non
pensare ad altro, ho di sicuro un ego in perfetta forma da alimentare se sto a
perdere tempo con foto ed articoli.
Le nuvole spostate dal vento fanno spazio
ad un cielo ormai oltre il tramonto: è l’ora della sedge… e delle zanzare.
Sono sulla guida Michelin delle zanzare: vengono a provarmi anche da fuori
provincia! Meglio parlare di Sedge.
Imitare una sedge è molto semplice e, quando ci sono le condizioni, credo sia
la cosa più pratica ed efficace d’appendere al finale. Difficile casomai è
realizzare il giusto movimento che induce a salire la trota.
Schiusa per me significa effimere, però devo ammettere che ad una certa ora
eliminare l’esile nylon e montare una sedge è diventato ormai un rito
piacevole ed irrinunciabile. Cambiano anche le aspettative: grosso nylon +
grossa sedge = grosso pesce. Think big direbbero gli americani.
La cattura - Torno al cespuglio che è quasi buio. La rivedo
bollare. La sedge fa il suo lavoro, il finale anche e dopo un lungo momento
eccola nella rete: bella, grassa, con una larga pinna caudale. La stimo 45cm,
così diciamo che realmente potrebbe essere quasi 40.
La
degna conclusione di una bella giornata. Sono pur sempre “acque libere”: una
sola bella cattura, ottenuta con perseveranza e determinazione molto spesso è
sufficiente a giustificare un intero pomeriggio di pesca. Il
silenzio ovattato del tramonto sta la sciando il posto a piccoli, inquietanti
rumori notturni. L’acqua, ormai nera, continua a scorrere fredda e costante.
Di certo avevo tanti demoni in testa e bisogno di una buona pescata per
scacciarli, ma, per un lungo momento, non riesco a ricordare perché sono qui
questa volta.
PS: non vi ho
rivelato nessun dressing innovativo e neppure dov’è la roggia, così immagino
di avervi fatto perdere tempo. Delusi?! Consolatevi pensando alle parole di
L. De Boisset: “se limitassimo la nostra passione ad attività e nozioni
puramente utilitaristiche rischieremmo ben presto di morire di noia!”
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