La valle dei Mòcheni

Paolo Locatelli

 

 

Esiste in Trentino un piccolo cuore tedesco che tutt’ora conserva tradizioni centenarie d’oltralpe.

No, non avete capito male, non parlo di Alto Adige ma proprio di Trentino!

A pochi chilometri dall’italianissima Trento, dove gli irredentisti Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa diedero la vita combattendo per difendere la propria identità nazionale, esiste una piccola valle i cui abitanti difendono gli usi, i costumi e la lingua della popolazione Mòchena.

Una data precisa e una provenienza sicura delle prime popolazioni trasferitesi nell’attuale Valle dei Mòcheni non è ancora stata completamente accertata. Fino al 1200-1300 nella valle non esisteva  una popolazione stabile, vi si recavano periodicamente, provenienti da Pergine e Trento, agricoltori, boscaioli, carbonai e pastori per sfruttare l'unica risorsa economica allora esistente, il bosco e il pascolo. Dopo il 1300 il castello di Pergine passò ai Scena, feudatari tirolesi, che insediarono nella Val del Fèrsina coloni tedeschi provenienti dalla Baviera e dalla Boemia.

Il termine Mòcheni deriverebbe dalla variante di pronuncia del verbo tedesco machen, "fare", caratterizzante i mòcheni come popolo di lavoratori, e più specificamente della frase mache ich "faccio io" che nel dialetto diviene mòchen i da cui, appunto, mòcheni.

Verso il 1400 si vennero a formare le prime comunità e da un'occupazione prevalentemente agricola, boschiva e pastorale, si iniziò, dopo la scoperta dei ricchi giacimenti di rame, ferro, argento e oro presenti in valle, ad occuparsi in modo quasi esclusivo dell’attività estrattiva. Questa nuova risorsa determinò, fra il 1400 ed il 1500, l'afflusso di altri lavoratori provenienti da alcune regioni dell'Europa centrale dove si erano affinate più che altrove capacità tecniche e professionali nel settore minerario.

I minatori tedeschi rimasero per lungo tempo nella valle e, pur non integrandosi con le comunità locali, contribuirono allo sviluppo della lingua, della creatività e della fantasia collettiva dei mòcheni. Nacquero e si diffusero così una serie di leggende attorno alla speranza di un futuro in cui l'oro e l'argento sarebbero sgorgati in abbondanza dalle montagne e li avrebbero risollevati da una condizione di vita spesso al limite della sopravvivenza.

Con il passare dei secoli le miniere si esaurirono, i minatori tornarono alle terre da cui gli antenati erano partiti ed i mòcheni ritornarono alla primitiva attività agricola. Le peculiarità di questa gente erano l'autosufficienza e l'indipendenza, che limitarono notevolmente i contatti con il mondo esterno, favorendo la conservazione degli usi, dei costumi e della lingua. La popolazione viveva con i prodotti dell'agricoltura, con l'allevamento del bestiame, con la caccia e la pesca e costruiva in loco gli arnesi occorrenti utilizzando prevalentemente il legno. L'unico supporto a queste attività era il piccolo commercio ambulante, praticato solo dagli uomini da novembre ad aprile, consistente nella vendita di tessuti e piccoli oggetti necessari alla vita contadina e sviluppato soprattutto presso le case isolate nelle campagne tirolesi, austriache, bavaresi e boeme. Questo mestiere, che sta ormai lentamente scomparendo, è tuttora praticato dai "kromeri" in special modo nelle valli dell'Alto Adige.

L'esigenza di avere contatti sempre più frequenti con il mondo esterno portò in parte alla perdita della parlata locale; è molto diminuita infatti la percentuale delle persone che parlano esclusivamente il mòcheno. La Valle ha però conservato integralmente i suoi toponimi, infatti ogni luogo ed ogni proprietà privata hanno ancor oggi un proprio nome in dialetto mòcheno. La lingua mòchena può essere definita un antico tedesco integrato con parole provenienti dal dialetto trentino ed è stata tramandata per secoli, solo oralmente, di generazione in generazione, per il fatto che la popolazione contadina che lo parlava era molto semplice e povera e non aveva alcun interesse ad avere un testo scritto. Per questo motivo la lingua si è impoverita gradualmente, perdendo termini ed ha subito delle notevoli infiltrazioni del dialetto perginese, in particolare nelle zone più agevolmente raggiungibili e più favorevoli agli scambi commerciali. Attualmente la parlata mòchena è ancora diffusa tra la popolazione di Palù del Fersina, Fierozzo e Roveda, a Frassilongo solo tra una minoranza, mentre a S. Orsola e a Mala è entrata ormai completamente in disuso.

La valle incantata

La Valle dei Mòcheni (in mòcheno Bersntol, in tedesco Fersental), nota anche come Valle del Fèrsina, è una piccola valle laterale della Valsugana, percorsa dal torrente Fèrsina, che si sviluppa per una quindicina di chilometri a nord est del grosso centro abitato di Pèrgine Valsugana.

Immersa tra le montagne; un ambiente selvaggio e suggestivo che merita conoscere seguendo itinerari tra  prati e boschi, nei dintorni delle abitazioni e fra i masi, da percorrere a piedi in rilassanti passeggiate che portano alle malghe e ai rifugi, oppure avventurandosi in percorsi più impegnativi, con lo sguardo rivolto alle alte vette della superba catena montuosa del Lagorai.

La Valle, che lo scrittore austriaco Robert Musil definì “la valle incantata”, conserva intatte anche le proprie tradizioni folcloristiche e gastronomiche, testimonianza della cultura e delle usanze di una popolazione che è riuscita a preservare la propria identità anche attraverso i riti delle feste, come il “Canto della Stella” nel periodo natalizio e la rappresentazione dei “Bètsche” l’ultimo giorno di carnevale, ma soprattutto con l’amore per l’ambiente e la tutela del patrimonio storico-culturale.
Dopo esser stata per anni una valle isolata e depressa economicamente, ora un certo benessere è arrivato grazie anche al “pendolarismo”, ma le attività economiche in loco non sono molte. Una tra le più note e riuscite è senz’altro la Cooperativa Sant'Orsola, famosa per la produzione e la commercializzazione dei piccoli frutti, rinomati sul mercato di tutta Italia ed anche all'estero: fragole, lamponi, ribes, uva spina, mirtilli, more.

Come altre zone anche la Val dei Mòcheni oggi è arrivata a un bivio: rimanere una valle marginale, con un impoverimento progressivo dovuto all'abbandono dei giovani, oppure tentare di uscire dall'isolamento con uno sviluppo sostenibile. Tutti hanno ben chiaro, almeno a parole, che la via maestra è e dev'essere il "turismo soft": un turismo cioè non di massa ma di nicchia, che privilegi l'ambiente naturale, che è poi la principale ricchezza della valle, e lo mantenga quanto più possibile incontaminato, ma è una scommessa impegnativa.

Per chi non lo avesse ancora capito questa valle mi è entrata nel cuore e, parafrasando coloro che sostengono che “Cuba deve essere vista prima che muoia Fidel Castro”, consiglio a tutti di visitarla prima che possa prender piede un certo turismo selvaggio che altrove ha creato danni ambientali non indifferenti e, purtroppo, irreversibili.

Il lago di Erdèmolo

Lunedì 18 agosto 2008, poco prima delle 9 arriviamo a Palù del Fersina e, seguendo le indicazioni per il rifugio lago di Erdèmolo, dopo alcuni tornanti raggiungiamo la località Frotton (1550 m/s.l.m.) dove, subito sopra un grande parcheggio, inizia il sentiero 325, l’unico che conduce direttamente al lago. Il primo mezzo chilometro si sviluppa quasi in piano, in mezzo al bosco, lungo uno stradello forestale percorribile in auto solo dagli affittuari di una splendida baita situata sulla riva del torrente Fèrsina. Superata la baita, in prossimità del ponticello sul torrente, inizia il sentiero vero e proprio; sulle  guide è indicato come “difficile” ed il tempo di percorrenza stimato è di un’ora e mezza. In realtà, nonostante i 450 metri di dislivello da superare in circa 3 km, si tratta di un percorso decisamente affrontabile e molto bello, che si sviluppa tra prati e bosco rado di larici e abeti rossi. Anche per Stella, nonostante abbia solo 6 anni, solo gli ultimi 400 metri sono stati “un po’ pesanti” ma più che altro perché, oltre all’elevata pendenza, lungo il percorso non c’erano più i grossi e succosi mirtilli, presenti in abbondanza lungo il tratto precedente, ad alleviare la fatica. Quando infine raggiungiamo la sella tra i monti Pizzo Alto (2213 m/s.l.m.) e Sopra Cornella (2308 m/s.l.m.) una ventina di metri più in basso il lago, illuminato da un sole appena velato dalle nubi,  ci appare come uno smeraldo incastonato nella roccia scavata dal ghiaccio.

Questo splendido laghetto di origine glaciale, poco più di 15.000 mq di superficie, è considerato la “testa” della val dei Mòcheni. La pesca è consentita nei mesi di luglio e agosto e le acque cristalline e purissime ospitano Salmerini Alpini, frutto della riproduzione naturale dei 18 esemplari provenienti dal lago di Tovel ed immessi nel 1988,  e Sanguinerole. Personalmente non ho avuto la possibilità di pescarci ma dalle informazioni ricevute, quando ormai era troppo tardi, da due pescatori molto attendibili (ho avuto modo di verificarle personalmente in altre zone di pesca e quindi non ho motivo di dubitare)  le catture, anche in virtù della bassissima pressione piscatoria, sono piuttosto interessanti. Ovviamente i Salmerini hanno la taglia che possono raggiungere, al massimo poco più di 30 cm. Ho avuto modo di osservarlo per un paio d’ore ma non ho visto nessun pesce “di taglia” in attività; in compenso nei sottoriva meno profondi è tutto un brulicare di pesciolini di 5 – 6 cm, tantissime Sanguinerole, ben identificabili dalla vistosa striscia scura laterale, e tanti Salmerini. Per una mezz’ora si è anche verificata  una schiusa di “effimerine” che, a 5-6 m dalla riva, ha portato parecchi pesci sui 15 cm a bollare con regolarità, speravo che tutta quest’attività potesse destare l’attenzione di qualche bel pesce ma, purtroppo, così non è stato.

Comunque, indipendentemente dalla possibilità di pescarvi, il lago merita al 100% la fatica della scarpinata. Un consiglio: portatevi dei bei panini ed una buona scorta di acqua, sul lago vi è uno splendido ed accogliente rifugio (che non rilascia i permessi di pesca) ma con prezzi da far invidia ai migliori locali di Venezia; volete un esempio? Una fetta di strüdel, in verità davvero superbo, ed un caffè di moka SOLO 8 €!

Il torrente Fèrsina

Il torrente Fèrsina nasce dal lago di Erdèmolo (2006 m/s.l.m.) e, dopo un percorso di circa 30 Km, sfocia nel fiume Adige a Trento (191 m/s.l.m.); è ben popolato di Trote Fario per tutto il percorso e, limitatamente agli ultimi chilometri, anche di Marmorate. Il suo percorso può essere suddiviso, per caratteristiche idrografico/ambientali, in quattro settori: il primo è il tratto superiore che dal lago di Erdèmolo, scorrendo in direzione sud-ovest, attraversa tutta la valle dei Mòcheni fino alla periferia nord-est di Pèrgine Valsugana. In totale si tratta di una quindicina di chilometri con tutte le caratteristiche tipiche del torrente montano. Da Pèrgine, piegando decisamente in direzione ovest,  la valle si allarga e la pendenza diminuisce notevolmente conferendogli le caratteristiche tipiche del torrente di fondo valle. Questo tratto centrale, di una decina di chilometri, è in assoluto quello meno “appetibile” perché adibito a campo di gara e viene ripopolato solo in occasione di manifestazioni, termina a metà strada tra Civezzano e Trento con l’inizio dell’Orrido del Fèrsina, conosciuto come “Forra di Ponte Alto”. Questo terzo settore, di circa 3 chilometri, è una gola profondamente scavata dal torrente, un tratto veramente spettacolare per pesca-scalatori. Comunque, a dispetto dei notevoli sforzi fisici a cui ci si deve sottoporre, la zona è assai frequentata dai pescatori locali. L’ultimo tratto è quello cittadino, altri 3 chilometri abbondanti, che attraversa tutta la periferia sud di Trento, da Ponte Alto alla foce in Adige. E’ probabilmente il settore maggiormente popolato di Trote – come già detto anche Marmorate - ma è decisamente poco bello, chiuso com’è tra due alti muraglioni. Degli ultimi due tratti potrete trovare su internet tutte le informazioni che vorrete, sul tratto centrale non vale la pena di soffermarsi, quello di cui voglio parlarvi è invece il tratto superiore, quello all’interno della valle dei Mòcheni nei due tratti in cui ho pescato: il primo a Canezza, all’ingresso della Valle, piacevolmente tranquillo; il secondo nel cuore della Valle, tra S.Orsola e Palù, decisamente più avventuroso.

In generale bisogna dire che il primo problema da superare è sicuramente quello di arrivare al torrente, gli accessi sono pochi e da cercare “col lanternino”. Spesso anche dove ci sono dei ponti l’unico modo per arrivare all’acqua è fare bungee jumping con l’elastico troppo lungo. Comunque una volta che arrivate al torrente vi ci infilate dentro e lo risalite; per questo raccomando l’uso dei waders, meglio con suole di feltro e chiodi, perché con i cosciali vi trovereste presto nell’impossibilità di proseguire. Il Fèrsina ha un letto decisamente stretto e profondamente scavato, le  rive sono quasi sempre alte e molto infrascate mentre il corso d’acqua è piuttosto veloce e in alcuni punti abbastanza profondo anche a riva. Considerate che questo che i locali ritengono un “torrente marginale” probabilmente ha una portata d’acqua superiore a tutti corsi d’acqua della provincia di Forlì-Cesena messi insieme (Sigh!).

Itinerario 1: Canezza.

Per risalire la valle dei Mòcheni, partendo da Pèrgine Valsugana, si deve percorrere la strada provinciale 8 che porta a Palù del Fèrsina passando per S.Orsola Terme; proprio all’ingresso di Canezza girate a destra, sulla strada provinciale 135 che porta a Palù del Fèrsina passando per Frassilongo e Fierozzo, e dopo pochi metri, sulla sinistra, c’è una stradina, la imboccate e trovate un parcheggio dove lasciare la macchina in tutta sicurezza. Per scendere al fiume tornate sulla provinciale, attraversate un parco giochi e arrivate all’argine del torrente poco a valle del ponte. Come arrivate sull’argine trovate un sentiero che scende all’acqua immediatamente a valle di una grande cascata, lasciatelo perdere perché vi servirà per risalire, se arrivate al torrente da quel sentiero vi “giocate” la metà più bella della grande pozza sotto la cascata. Dicevo, una volta che siete sull’argine c’è uno stradello forestale che scende lungo il fiume fino alla confluenza del canale che proviene dalla centrale di S.Orsola, poco prima del canale c’è una scaletta di ferro che consente di scendere all’acqua in corrispondenza di una doppia cascata che forma due buche grandi e profonde. A monte dello sbocco del canale la portata del torrente, che si riduce a circa un terzo, è  per il pescatore a mosca veramente fantastica. Da qui al ponte sono poche centinaia di metri ma per farli bene, come dico io “a passo di gatto”, occorrono almeno tre ore perché è letteralmente zeppo di Trote. Io ho avuto la fortuna di pescarci in un pomeriggio di inizio settembre con schiuse costanti e pesce in grande attività e, in poco più di tre ore, ne ho catturate una trentina abbondante ma …. OCCHIO ALLA MOSCA !! Ho iniziato pescando con quelle che sono le mie mosche classiche da torrente (Royal Coachman, Wickham’s Fancy, Panama, Tricolor, Humpy Red, Sedge in pelo di cervo e in cul de canard) su amo 12 e finale di quattro metri con tip 0,14 ma, nonostante nelle prime due buche ci fossero non meno di una ventina di Trote in costante attività, il risultato finale è stato di due catture (piccole) ed altrettanti rifiuti (grossi); in pratica ho perso quasi un’ora, fino a che non le ho spaventate tutte, continuando a cambiare artificiale e riducendo il diametro del tip fino allo 0,10 senza riuscire a cavare un ragno dal buco. Ben diversamente è andata poi, quando ho iniziato ad usare delle emergenti c.d.c. di Pheasant tail e di Olive dun su amo 14, ogni pesce che bollava era una cattura. Nella grande buca sotto la briglia, quella immediatamente a valle del ponte, ormai abbondantemente soddisfatto, mi sono anche concesso il lusso di fare degli esperimenti provando una dozzina di artificiali diversi, risultato: si sono dimostrate valide, ma non allo stesso livello delle due già citate, anche le emergenti c.d.c. con corpo iron blue e rosso; gli stessi modelli montati parachute hanno comunque ottenuto un interesse molto alto ma in due casi su cinque venivano poi rifiutati. Incredibilmente terrestrials e sedge, a dispetto della fitta vegetazione riparia e di una buona presenza di portasassi, hanno invece riscosso un interesse quasi nullo.

Risalendo a monte del ponte, dopo un tratto di circa duecento di metri anche questo ben popolato, c’è una diga di sassi che forma un  laghetto, piccolo (circa 250 m di lunghezza per 60 di larghezza massima ed una profondità massima stimata in non più di due metri e mezzo. Alcune delle buche a valle sono sicuramente più profonde.) ma molto interessante. E’ la spiaggia della zona ma, siccome la valle è molto stretta e profonda, anche in estate entra in ombra molto presto e dei bagnanti, già prima delle 18, non c’è più traccia. E’ il luogo ideale per il “coup de soir”; in prossimità dei due immissari, il Fèrsina ed il Rio Rigolor (piccolo ma comunque popolato di Trote), la sera è “tutto una bollata” e le catture, utilizzando gli artificiali di cui sopra, non si fanno attendere. L’ultima considerazione è sulla taglia dei pesci, innanzitutto ho visto e catturato solo Trote Fario veramente ben fatte e le mie 42 catture complessive andavano dai 15 ai 34 cm (nessuna differenza sostanziale tra torrente e laghetto) ma mentre nei sottoriva ho visto tanti pesciolini di taglia inferiore (sono quindi ben rappresentate tutte le classi di età), non ne ho visto nessuno di taglia maggiore. Rimane il fatto che nelle buche più grandi la profondità è tale che, nonostante la trasparenza dell’acqua, non si riesce assolutamente a vedere il fondo e comunque il fatto che per i pescatori locali l’esca principe sia il pesciolino vivo lascia intendere che almeno qualche bel pesce sia presente. Ad ogni modo la taglia media è sicuramente soddisfacente, soprattutto se si considera che la misura minima è di soli 20 cm e che più della metà delle mie catture sono state Fario tra i 25 ed i 28 cm.

Itinerario 2: tra S.Orsola Terme e Palù del Fèrsina.

Pescare nel cuore della Valle, se si escludono una zona in prossimità di S.Orsola ed una a Palù dove comode strade consentono un altrettanto comodo, e quindi troppo frequentato, accesso al torrente, non è impresa da poco. Erano due anni che sognavo di calarmi nel torrente in un posto lontano dagli accessi più agevoli e finalmente nel 2008 sono riuscito a soddisfare questo desiderio. Per una buona riuscita è indispensabile studiare bene il percorso, prima a tavolino (ottime le carte della Kompass 1:25000) e poi con sopralluoghi. Due i problemi da risolvere: il primo è sicuramente quello del parcheggio, tanto la S.P.8 quanto la 135 sono molto strette e senza una piazzola a disposizione non è possibile parcheggiare. Il secondo è quello di trovare un punto in cui la conformazione e la pendenza del terreno consentano una discesa, e conseguentemente una risalita, sufficientemente tranquilla. Nella Valle ci sono tanti sentieri segnati e molti altri non segnati, quelli dei “fungaioli”, ma quasi tutti, partendo dalle due strade provinciali, risalgono verso il crinale; occorre quindi scendere attraverso il bosco che normalmente non è troppo fitto e con un sottobosco sufficientemente pulito e agevole. Tenete presente che tra la strada ed il torrente il dislivello è spesso superiore ai 200 metri e in molti punti con pendenze da far paura; meglio scegliere accuratamente il punto di discesa perché al torrente ci si arriva di sicuro ma non è detto che ciò avvenga in condizioni fisiche tali da apprezzarne la bellezza. Ovvio quindi che, tanto la discesa quanto la risalita, non possono essere affrontate con stivali o waders ma necessariamente con comodi scarponi da montagna e con tutta l’attrezzatura da pesca riposta nello zaino. Consiglio caldamente di portarsi una buona corda ed alcuni moschettoni e che si tratti di materiale valido, da arrampicata o da canyoning, il costo di una buona corda è comunque assai contenuto mentre diverso è il discorso dei moschettoni, è vero che in ferramenta con la cifra necessaria all’acquisto di sei moschettoni garantiti ne acquistate quattro manciate ma sono dei portachiavi; come si può affidare la propria pelle ad un portachiavi?

Non dubito che si riescano a trovare passaggi più comodi rispetto a quello da me affrontato, che comunque ho scelto dopo tre accurati sopralluoghi, ma in “corda doppia”, passandola attorno ai tronchi degli alberi, sono sceso senza problemi; da sempre i Faggi sono tra i miei alberi preferiti ma mai come in questo caso ne ho apprezzato il tronco dalla corteccia liscia che consente alla corda di scorrere senza problemi.

Non sarà particolarmente semplice arrivarci ma la bellezza selvaggia dell’ambiente e la sensazione di libertà che si respira laggiù, almeno per come sono fatto io, mi hanno ampiamente ripagato della fatica.

Una volta terminata la discesa è probabile che vi troviate sul Fèrsina, non nel torrente ma sopra, per arrivare alla riva spesso (ma forse sarebbe meglio dire quasi sempre) c’è una scarpata di 2 o 3 metri quasi perpendicolare, con una corda scendere non è un problema ma senza le Trote vi dovreste limitare ad osservarle e ….sarebbe davvero un peccato! Il torrente, così come tutto l’ambiente circostante, è di una bellezza incomparabile;  l’acqua è azzurrina, ghiacciata, limpidissima e le Trote, dove l’acqua è più tranquilla, sembrano sospese in un’aria appena appena più densa. Hanno un corpo robusto ma più slanciato rispetto a quelle di Canezza e dalla livrea completamente diversa: complessivamente piuttosto chiara, biancastro il ventre, i fianchi argentei sono punteggiati di piccole macchie rossastre, il dorso, per favorire il mimetismo con il fondale di granito grigio, è di un bel grigio-piombo, sostanzialmente molto simile a quello della Trota Marmorata. Non credo che neanche i loro nonni abbiano mai visto una vasca di allevamento, del resto a chi mai verrebbe voglia di venire a ripopolare quaggiù? Le uniche impronte che ho visto nel letto del torrente erano quelle dei caprioli, numerosi e poco timorosi.

Complessivamente sono rimasto sul torrente per circa quattro ore, di cui non più di due e mezzo di pesca effettiva, perché anche quando siete arrivati non è una passeggiata. Ogni tratto di torrente, al massimo di 2-300 m, è delimitato dal successivo da una cascata che impedisce di proseguire nella risalita, occorre quindi tornare alla corda (mi raccomando, dopo essere scesi lasciatela dov’è perché se la recuperate come risalite? Il mio consiglio è di legarne le estremità allo zaino tanto il rischio che qualcuno lo porti via è davvero inesistente), rimettere gli scarponi, risalire, superare la cascata, ridiscendere, rimettere gli stivali e finalmente ricominciare a pescare. Se non siete fortemente motivati è meglio che lasciate perdere e vi indirizziate verso luoghi meno selvaggi ma probabilmente anche più popolati. In tutto ho catturato una dozzina di Trote di taglia decisamente più ridotta rispetto a quelle di Canezza, una di 28 cm, una di 24, un altro paio intorno ai 22 quelle di misura, le altre tra i 14-15 ed i 20 cm scarsi; in compenso non ho avuto problemi con la mosca, ho iniziato a pescare con una royal coachman parachute e con quella ho continuato senza problemi. L’ambiente comunque è in grado di sostenere anche pesci di taglia maggiore, in particolare nelle buche più profonde, e forse ci sono anche. Dal punto di vista meteorologico la giornata era fin troppo bella, calda e soleggiata e le catture sono state realizzate principalmente nelle zone d’ombra. Stanco e piuttosto preoccupato per le difficoltà che avrei potuto incontrare nella risalita per tornare alla strada ho smesso di pescare molto presto, verso le 17:30, e sicuramente ho rinunciato al periodo migliore. Adesso che ci sono stato, ne sono tornato tutto intero e so com’è sono convinto che alla prima occasione ci tornerò, magari in un altro tratto analogo.

Un consiglio per chi volesse provare a vivere un’avventura come la mia, il bastone da nordic walking che mi ero portato è stato un buon aiuto ma, siccome più di metà del percorso l’ho dovuta fare sulle ginocchia, il grosso coltello da caccia, nel mio caso un robusto Bowie con lama da 28 cm, si è dimostrato assai più utile per la risalita.

Consigli e informazioni.

Nella valle esistono solo sette alberghi (circa duecento posti letto), quattro aziende agrituristiche (una trentina di posti letto) e, limitatamente alla stagione estiva, una trentina di appartamenti in affitto. Per chi invece vuole godere pienamente dell’ambiente è possibile affittare una delle dieci baite sparse nei boschi, veramente bellissime, qualcuna in prossimità dei centri abitati, altre decisamente isolate, oppure pernottare al rifugio Erdemolo (2006 m/s.l.m., sulle rive del laghetto omonimo, 18 posti letto) o al rifugio Sette Selle (2014 m/s.l.m., 30 posti letto), entrambi aperti dal 20 giugno al 20 settembre.

In alternativa è possibile appoggiarsi alle numerose strutture turistiche presenti a Pergine Valsugana, Trento o, meglio ancora, alle località sulle rive dei vicinissimi laghi di Caldonazzo e Levico.

Tutti i torrenti che scorrono nella Valle dei Mòcheni sono in concessione all’Associazione Pescatori Dilettanti del Fèrsina e Alto Brenta, con sede a Pergine Valsugana tel.0461/533345, la pesca è vietata tutti i venerdì non festivi ed i permessi di pesca giornalieri, del costo di 11 €, possono essere acquistati presso i seguenti esercizi. Pergine Valsugana: negozio pesca Sport Filippi, negozio pesca Petri, Robj Pesca Pergine; Canezza: Bar Al Sole; Sant'Orsola: Bar Sport. Oltre a questi i permessi si possono reperire anche in alcune località sul lago di Caldonazzo, a Calceranica al Lago: Ristorante Floris ed a  S.Cristoforo: Ristorante Lanterna, Bar El Far; ma il quantitativo a loro disposizione è limitato e normalmente già a fine luglio sono esauriti. Il mio consiglio è comunque di rivolgersi ai negozi di pesca a Pergine perché se avete bisogno di informazioni nei bar e negli alberghi non sono in grado di darvene. Ve lo dico perché, per esempio, nel Fèrsina, immediatamente a monte del laghetto di Canezza, c’è un ponticello su cui campeggia un bel cartello bianco con una scritta rossa “DIVIETO DI PESCA”; in realtà parlando con una guardia forestale ho scoperto che, almeno nel 2008,  non c’è nessun divieto di pesca fin oltre Palù del Fèrsina ed il cartello è rimasto chissà da quanto. Attenzione, il regolamento prevede che: “E’ vietato il rilascio del pesce di misura se finalizzato alla cattura di pesci di taglia maggiore (max.5 capi)” per cui è consentito il no-kill.